Negli ultimi anni sono nate e si sono sviluppate diverse fondazioni di cultura politica. Ci interessa capire che ruolo si prefiggono e qual è il loro rapporto con la politica, in senso stretto, partitica. Da una parte il Pdl è un partito a carattere leaderistico; dall’altra il neonato Pd, secondo Veltroni, doveva essere un partito cosidetto “liquido”, mentre un importante esponente come D’Alema ha affermato di recente – proprio a proposito delle fondazioni – che il Pd non potrà fare a meno di dotarsi di strumenti di ricerca, di dialogo con la società e la culturali formazione della classe dirigente» e a questo proposito sottolineava il ruolo che può avere uno strumento come la Fondazione Italianieuropei.
I partiti sembrano evolversi di pari passo con i tentativi di rappresentare i cittadini e riformare le istituzioni. I vecchi partiti nel senso tradizionale del termine, sono tramontati?



Credo francamente che le definizioni di partito-liquido, partito-movimento etc. siano sciocchezze. Il partito è una struttura che deve svolgere un lavoro permanente di mobilitazione, di propaganda e di formazione. Di formazione seria però, che non può più essere una formazione puramente ideologica, sul vecchio modello delle Frattocchie, ma deve essere una formazione ai problemi economici, amministrativi, isitituzionali. Il partito è una struttura dove avviene una selezione del ceto dirigente di classe politica e quindi non può essere né “liquido” né semplicemente un centro studi. Deve avere certamente al suo interno anche i centri di formazione politica degni di questo nome, come potrebbe essere quello che quattro anni fa abbiamo fondato a Milano, un centro di formazione politica che ha svolto un lavoro straordinario: ogni anno duecento giovani di tutta Italia chiedevano di essere iscritti e vi abbiamo lavorato con Salvati, con Bonomi, con Martinelli e tanti altri. Uno che vuole fare un serio centro di formazione politica non in astratto, come potrebbe avvenire in università a scienze politiche ma al servizio di una prassi politica concreta, all’interno di uno o dell’altro schieramento in campo, non deve fare altro che andare nel sito del centro di formazione politica diretto da Nicola Pasini e trova come si fa. Se invece si vogliono le “Frattocchie bis” o un luogo correntizio mascherato da centro studi allora basta molto meno.



Perchè allora è questo di cui si tratta, secondo lei?

È chiaro che i centri studi non possono essere né un’università, né un luogo in cui una corrente si organizza, perchè quella è politica. Un centro studi finalizzato alla politica deve avere una sua autonomia, deve avere una sua struttura e un suo progetto formativo improntato su criteri di vera scientificità, ma nello stesso tempo deve essere rivolto alla prassi politica, quindi collocarsi all’interno di un partito che non è un partito-liquido, o un movimento. In democrazia ci sono i partiti e ci sono i movimenti ed entrambi sono necessari alla dialettica democratica. Perchè se la democrazia è solo movimenti diventa assemblearismo e se ci sono soltanto partiti e non c’è il movimento, prima o poi i partiti diventano nient’altro che strutture burocratiche autoreferenziali.



Si dice che i partiti vecchio stile non ci sono più e che i partiti sono diventati movimenti di opinione. Viene da chiedersi allora: le opinioni chi le forma?

Non è vero. Queste sono leggende metropolitane, improntate ad una visione del tutto ideologica dei poteri dei media, della televisione. I partiti come strutture radicate nel territorio, rappresentativi di interessi determinati, e che da lì partono per seguire le reti complesse della politica, della cultura, dell’economia: queste strutture ci sono ancora dappertutto! Non è vero che vale solo l’opinione e la televisione. Ma è possibile che dopo l’affermazione della Lega nel lombardo-veneto questo non lo si capisca ancora, o che non lo si capisca dopo l’affermazione di Lombardo in Sicilia? Chi ha visto mai Lombardo in televisione? Bertinotti è apparso in televisione cento volte in più di Bossi e Lombardo messi insieme. I partiti come strutture organizzate, permanenti, di formazione e di selezione di ceto politico e di rappresentanza territoriale determinata, permanente, sono assolutamente essenziali alla democrazia, e vince chi ha strumenti come questi. Berlusconi può fare a meno di questa rete perchè sa di avere dentro la sua coalizione Lega e Alleanza Nazionale.

Quindi lei sta dicendo che quello che non fa direttamente lui lo fa qualcun’altro.

Ma è evidente! Non è chiaro che Berlusconi ha fatto questa scelta, molto intelligentemente peraltro? E infatti nella sostanza ha detto: al nord, cari amici di Forza Italia, lasciate perdere, perchè c’è la Lega. E infatti la Lega ha massacrato Forza Italia. Mentre al sud dobbiamo inventarci una Lega del sud: ed ecco Lombardo. Mi pare chiarissimo. Puoi evitare di formare il partito-partito se hai un Berlusconi. Ma Berlusconi da questo punto di vista è un’evidente anomalia. Perchè da nessuna parte al mondo – non sto a giudicare il buono o cattivo – puoi avere il leader che dispone dei mezzi finanziari, delle televisioni e dei giornali come Berlusconi. Quindi Forza Italia ha potuto andare avanti come puro partito di immagine, di leadership, perchè c’era Berlusconi. Il quale ha capito tutti i limiti di questa stortura e ha cercato pure lui, formando il nuovo partito, il Popolo delle libertà, di creare un partito tutt’altro che liquido. In parte lo farà lui direttamente, in parte lo propagherà al nord tramite la Lega. E la Lega è un partito che, da un punto vista della struttura organizzativa, assomiglia moltissimo, per chi l’ha vissuto come me dall’interno per anni, al Pci.

Questo è un aspetto interessante, perchè dall’esterno, molto spesso anche sulla base della vulgata interpetativa post elettorale, si cerca di capire qual è il modello che ha consentito alla Lega di avere successo e di rappresentare gli interessi del territorio.

È un modello che per tanti versi è proprio la fotocopia del modello del Pci, soprattutto in queste regioni, in Lombardia e Veneto, dove non a caso ha preso un sacco di voti ex comunisti, perchè? Perchè ha un fortissimo leader carismatico – e senza leadership carismatica il partito comunista non era niente, Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer; poi un fortissimo radicamento nel territorio, attraverso un lavoro volontario, non come quello dei nuovi capetti di partito la cui l’unica preoccupazione è quella di entrare in un Cda, o di fare l’assessore, o il capogruppo, o di avere una candidatura. No, un massiccio lavoro volontario di gente che non chiedeva niente e che ci spendeva le domeniche a fare la Festa dell’Unità; un massiccio lavoro volontario rappresentativo del territorio e un sindacato del territorio, di minoranza ma sindacato vero, del territorio. Così era organizzato il Pci. E da questo punto di vista la Lega, come il vecchio Pci, ha un atteggiamento strettamente fideistico nei confronti dei leader. Quello che naturalmente è cambiato – perchè tutto ritorna ma niente ritorna uguale – è che l’elettorato della Lega, a differenza dell’elettorato del Pci, è assolutamente mobile: come oggi ha votato la Lega, domani potrebbe votare magicamente Forza Italia o chiunque altro. Questo è l’elemento culturalmente diverso della situazione in cui siamo.

La ricerca di questa sorta di cinghia di trasmissione tra l’elaborazione culturale e l’organizzazione politica, vedasi appunto il tentativo D’Alema con Italianieuropei, è molto più tipica della sinistra che non della destra. Dove sta andando la sinistra?

A me risulta che Berlusconi stia cercando di fare una cosa analoga. Dell’Utri non ha cercato in tutti i modi di attivare un centro di formazione politica, di elaborazione culturale del centro destra, anche con iniziative editoriali più o meno riuscite, insomma di creare un’ideologia del centrodestra. È un tentativo che Dell’Utri sta compiendo da anni e che ritorna nelle pagine dell’ultimo libro di Tremonti (La paura e la speranza, ndr.) che è il vero manifesto del centro destra.

Quindi nulla che da noi possa assomigliare, nemmeno in futuro, al ruolo dei think tank americani.

Perchè no? Invece i partiti hanno bisogno di questo, hanno bisogno di gruppi intellettuali che sappiamo elaborare idee. In qualche modo Tremonti, nel suo ultimo libro, ha fornito una plausibile ideologia per il centro destra di questi anni. Ha abbandonato la vecchia ideologia liberista scatenata, ha cambiato completamente tono e ha voltato pagina, facendo quei discorsi organicistici, comunitaristici, da rivoluzione conservatrice che lei trova puntualmente da anni nelle pubblicazioni ispirate da Dell’Utri. Che io insisto nel ritenere, da anni, la vera testa pensante del centro destra italiano.

C’è un rapporto tra elaborazione culturale e strategia politica diverso nel caso dei think tank americani e nel caso delle nostre fondazioni – o della formazione politica che lei ha attribuito ai centri dei partiti? Si potrebbero definire i centri Usa “gruppi di pressione” organizzati?

No. I neoconservatori americani sono stati nella stanza dei bottoni a pieno titolo. Di volta in volta, a seconda del cambio dei presidenti, ci sono stati gruppi di intellettuali in America chiusi nella stanza dei bottoni. Potrebbe valere anche in Italia lo stesso modello qualora i partiti si mettessero a ragionare e a pensare. Qualora i partiti si dotassero al loro interno di veri centri di formazione politica o avessero dei veri e organici rapporti con centri di studi universitari come avviene negli Stati Uniti.

Ultima domanda: cosa sta succedendo a sinistra?

Quello del governo ombra non è altro che un aggiustamento organizzativo per rendere più coerente il lavoro programmatico ed efficace il rapporto con il governo, ma nient’altro. Alla gente non potrebbe interessare di meno del governo ombra. Al nord è come curare con l’aspirina il malato terminale, perchè qui o si fa una scelta di riorganizzazione federale del partito, oppure si parla di cose che non possono avere alcun impatto politico efficace. Sono fuocherelli, nessuno ovviamente scalda, tutti scaldano ma non abbastanza per non morire di freddo.

In un’intervista al Riformista di settimana scorsa D’Alema diceva: basta con «un riformismo tecnocratico che è apparso lontano dalla realtà sociale del paese e figlio di quel minoritarismo illuministico che ha rappresentato a lungo un limite storico dei riformatori italiani». E ancora: «Se penso ai democratici americani o ai momenti migliori del Partito socialista francese, penso – appunto – ad una pluralità di club, fondazioni, centri di ricerca e di riflessione. Il problema è mettere in rete queste esperienze, evitare che le diverse realtà diventino monadi o partiti paralleli». Che ne pensa?

Certamente è vero, ha ragione. Detto questo però non si è detto ancora niente, perchè bisogna capire esattamente come questo partito mette in rete le esperienze territoriali. L’unica scelta è quella indicata da anni e anni invano dal sottoscritto, e da altri, di un’articolazione federale di questi soggetti.