Bocciato (almeno per ora) dal TAR, il modello introdotto dalla Regione Lombardia con l’atto di indirizzo per l’attuazione della legge n. 194/1978 (meglio noto con la denominazione impropria di “linee guida”) potrebbe essere adottato su scala nazionale.
La disposizione di maggior rilievo contenuta nelle “linee guida” lombarde riguarda il termine entro il quale è possibile effettuare l’interruzione della gravidanza nei casi di patologie che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Sul punto la legge n. 194/1978 si limita a prevedere che in questa eventualità non si possa interrompere la gravidanza «quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto», senza tuttavia individuare il termine a partire dal quale si può ritenere esistere tale «possibilità di vita autonoma».
Il legislatore aveva evidentemente ritenuto che il progresso scientifico avrebbe consentito, come in effetti è avvenuto, di anticipare sempre di più il momento a partire dal quale è possibile la “vita autonoma” del nascituro e che pertanto non fosse opportuna la fissazione in sede legislativa di tale termine.



Con le “linee guida” in questione, la Regione Lombardia ha determinato, sulla base dei «dati scientifici oggi a disposizione», il termine ultimo per l’interruzione della gravidanza nei casi di patologie che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna a 22 settimane e 3 giorni di gravidanza, ad eccezione dei casi in cui di fatto «non sussiste la possibilità di vita autonoma».
Termini analoghi sono stati da tempo adottati da alcune strutture ospedaliere quali la Clinica Mangiagalli di Milano (22 settimane) o il Sant’Anna di Torino (22 settimane e 6 giorni), che hanno inserito tali termini nei propri codici di autoregolamentazione.
A conferma del fondamento scientifico sotteso all’individuazione di tale termine, in data 4 marzo il Consiglio Superiore di Sanità ha espresso parere favorevole su un documento in tema di cura di soggetti nati prematuramente, nel quale si prevede che, a partire dalla ventiduesima settimana di età gestazionale, devono essere assicurate al neonato «le appropriate manovre rianimatorie, al fine di evidenziare eventuali capacità vitali, tali da far prevedere possibilità di sopravvivenza».

Tuttavia, secondo quanto affermato dal TAR Lombardia nell’ordinanza n. 707/2008 con cui è stata sospesa in via cautelare l’esecuzione dell’atto regionale di indirizzo (avverso la quale la Regione Lombardia ha annunciato ricorso in appello al Consiglio di Stato), le “linee guida” in questione si occuperebbero di materie rientranti nella competenza dello Stato e comunque le regioni non potrebbero adottare atti amministrativi su alcuno degli ambiti applicativi della legge n. 194/1978.
In realtà, a prescindere dal rilievo che, come è noto, diverse altre regioni sono intervenute su aspetti disciplinati dalla legge assumendo ad esempio iniziative in tema di aborto farmacologico, è da notare che la legge n. 194/1978, all’articolo 1, riconosce alle regioni (oltre che allo Stato e agli enti locali) l’importante funzione di promuovere e sviluppare le «iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».



Pronunciandosi su una richiesta di referendum abrogativo del citato articolo 1 della legge n. 194/1978, la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che nell’attribuzione di tale funzione «non solo è contenuta la base dell’impegno delle strutture pubbliche a sostegno della valutazione dei presupposti per una lecita interruzione volontaria della gravidanza, ma è ribadito il diritto del concepito alla vita» (sentenza 10 gennaio 1997, n. 35).
Del resto l’allora Ministro della Salute, Livia Turco, aveva mostrato apprezzamento per l’iniziativa regionale riconoscendo che «le linee guida della Regione Lombardia sull’aborto costituiscono un atto di riferimento importante», tanto da affermare di volerle indicare «insieme alle esperienze di altre regioni, come atto di indirizzo nazionale».
Intenti analoghi sono stati espressi dal sottosegretario in carica, Eugenia Roccella, all’indomani dell’ordinanza cautelare del TAR Lombardia.

In questi giorni da più parti si è chiesta una revisione (o quanto meno una verifica) della legge n. 194/1978 e ciò appare più che ragionevole in considerazione del fatto che il contesto socio-culturale e il panorama scientifico sono indubbiamente diversi rispetto a 30 anni fa.
L’auspicio è che in quella sede vengano adeguatamente valorizzate le iniziative, anche delle regioni e degli enti locali, finalizzate alla tutela della vita umana, che è uno degli scopi primari che si prefigge la legge n. 194/1978.