Una legislatura che si apre nel segno delle intese bipartisan e del rispetto reciproco fra maggioranza e opposizione è certamente un segno di novità. Ma non lo è in senso assoluto: un uguale clima di seria collaborazione sulle cose essenziali tra i due schieramenti lo si è già visto in atto più volte in regione Lombardia. Luciano Pizzetti, segretario regionale dei Ds dal 2001 e ora responsabile nazionale Pd per il federalismo, è stato ed è uno dei protagonisti, sul versante del centrosinistra, di questa azione condivisa che ha caratterizzato la recente politica lombarda. E a lui abbiamo chiesto di commentare le prime mosse di questa legislatura.



La prima decisione del governo ombra è stata quella di riunirsi in Lombardia, prima alla Regione e poi alla Provincia: che significato ha questa scelta?

Questa scelta è la dimostrazione di un cambio radicale di impostazione che si è avuto con la nascita del Partito Democratico, cambiamento che va nel senso di un superamento di quanto fatto precedentemente dai soggetti fondatori del Pd: la “questione settentrionale” viene assunta tra i temi prioritari del partito, e con essa anche il tema della relazione utile e positiva con i soggetti sociali che sono promotori dell’innovazione e del dinamismo della società italiana. Questo è un cambio radicale di impostazione: nello statuto del Partito Democratico si parla per la prima volta di partito federale, nella carta dei valori viene citata tale e quale la “questione settentrionale” così come l’abbiamo definita nel documento del Nord già a suo tempo. Si tratta dunque di un cambiamento radicale dal punto di vista culturale, che creerà anche una svolta dal punto di vista dell’azione politica: un partito così, ad esempio, non farà più una finanziaria come quella fatta dal governo Prodi.



Il ministro-ombra Chiamparino ha però detto che il federalismo fiscale della Lombardia lascia perplessi, perché spaccherebbe l’Italia: eppure la proposta di federalismo che viene dalla Lombardia è stata anche condivisa dal Pd.

I punti sui quali si sofferma Chiamparino sono gli stessi su cui il Pd in Lombardia ha sollevato problemi, in particolare la questione dell’Iva. In generale, dunque, noi abbiamo condiviso le proposte relative al federalismo differenziato, mentre per quanto riguarda la proposta del federalismo fiscale avevamo fatto alcune osservazioni, che sono appunto state richiamate da Chiamparino.



Potrebbe spiegare meglio quello che per voi è il punto critico nella proposta lombarda del federalismo fiscale?

Il fatto di trattenere l’80% dell’Iva effettivamente rischia di creare uno squilibrio tale per cui il federalismo diventerebbe di fatto quasi una rottura. D’altro canto questa è la proposta buttata sul tappeto, e poi nella discussione generale e nella conferenza Stato-Regioni si dovrà trovare un punto di convergenza. Assunto il principio, si tratta di discutere sull’entità. Sul principio condividiamo l’approccio, discutiamo sull’entità, ora anche con dati, con simulazioni con aspetti di carattere tecnico che possono essere valutati.

Ritorniamo sulla giornata del primo governo-ombra: come valuta l’incontro che c’è stato tra Veltroni e Formigoni?

L’incontro Veltroni-Formigoni – a cui ero presente – si è rivelato assolutamente utile. Il primo significato di questo incontro si ricollega al fatto che il governo-ombra si sia riunito in Lombardia nella sede istituzionale della Regione: un atto di rottura col passato, che spazza via l’elemento di demonizzazione, riconoscendo che i ruoli di governo e opposizione sono entrambi fondamentali per la vita democratica del Paese. Io mi auguro che questo avvenga anche altrove, e che quando il governo-ombra si riunirà per esempio a Napoli o Torino lo possa fare ancora nelle sedi istituzionali.
Per quanto riguarda nello specifico Formigoni e Veltroni, è evidente che è stato anche l’incontro di due leader politici, non solo un Presidente di Regione e un Segretario di partito, dal momento che Formigoni ricopre anche il ruolo di vicepresidente di Forza Italia.

Parliamo del rapporto tra maggioranza e opposizione. Sui giornali si incomincia, dopo tanti apprezzamenti e giudizi positivi, a dire che c’è il rischio che diventi troppo una “luna di miele” e che non ci sia più una differenziazione tra quello che è il messaggio del centrodestra e quello del centrosinistra. Qual è la sua opinione?

In un Paese “normale” (per utilizzare un linguaggio “dalemiano”) non dovrebbe fare specie che ci si incontri sulla definizione della struttura Paese, pur mantenendo la distinzione netta sulle politiche che si immaginano utili per il Paese e per gli interessi che si intendono rappresentare. A maggior ragione un comune riconoscersi anche nelle regole della strutturazione del Paese non è che attenua, ma casomai dà maggior valore alle differenze. Non si tratta di differenze anti o pro sistema, ma sono differenze all’interno di un quadro condiviso. E a quel punto possono anche essere differenze radicali.

Qual è il suo giudizio sulle prime mosse del Governo Berlusconi, in particolare sul primo Consiglio dei Ministri?

Mi pare che dal punto di vista mediatico sia stato estremamente efficace. Quanto alla concretezza, i provvedimenti sono lì, e bisogna vederne l’efficacia quando appunto se ne misurerà l’opera. Ici e straordinari sono passaggi condivisibili, ma sarebbe stato più opportuno affrontare il tema dell’aumento del potere d’acquisto di salari e pensioni attraverso un altro fronte. Sarebbe stato preferibile il meccanismo delle detrazioni (come risultava anche dalle proposte in campagna elettorale), attraverso la non tassazione del salario derivante da contrattazione di secondo livello. Questo sì favorirebbe l’insieme del mondo del lavoro e dell’impresa, mentre la detassazione degli straordinari favorisce solo un pezzo, cioè chi fa straordinari.

Sul taglio dell’Ici invece qualcuno ha detto “é sbagliato abolire l’unica vera tassa federalista”.

Il provvedimento sull’Ici non siamo ancora in grado di giudicare se sia giusto o sia sbagliato, posto nei termini di carattere generale. Ripeto che sarebbe stato più utile fare una manovra sulla detrazione, sulla questione salari e pensioni, perchè andava meglio spalmata secondo un principio di equità. Ciò detto, l’abolizione dell’Ici si può anche fare: il problema è da che cos’é accompagnata. Certo, dal punto di vista del federalismo, colpisce che l’unico prelievo che ha un carattere federalista venga tolto e sostituito da trasferimenti, almeno nel breve periodo, cioè finché non sarà a regime un progetto di federalismo fiscale. Ora come ora, a legislazione invariata, sul federalismo si fanno dei passi indietro a favore del solito meccanismo statalista del trasferimento. La questione dell’Ici, dunque, se è presa così a sé, rischia di essere un passo indietro, deve essere accompagnata dal federalismo fiscale, altrimenti non se ne esce e si ritorna al centralismo.

Che peraltro è proprio ciò che Tremonti ha detto nella conferenza stampa di presentazione del primo consiglio dei ministri.

Certamente: se questo provvedimento verrà accompagnato a breve dal federalismo fiscale, rimarranno comunque obiezioni di altro genere, ma questa criticità verrà tolta di mezzo. Occorre che la maggioranza acceleri in questa direzione, altrimenti abbiamo un governo delle intenzioni e un governo delle azioni che non si incontrano. Non è che dobbiamo metterci a fare la campagna contro l’abolizione dell’Ici, ma occorre dire che questo è un passo del tutto insufficiente. La manovra che serve per aumentare il potere d’acquisto è ben altra cosa.

(Foto: Imagoeconomica)