È iniziato, com’era prevedibile, il braccio di ferro tra il Governo e i sindacati, in particolar modo la Cgil. Il giorno dopo la rottura, in soli quindici minuti, della trattativa sulle nuove norme per il pubblico impiego, il segretario generale Epifani alza la voce e soffia sul fuoco dello scontro con il Governo: «Si abbia la volontà e capacità di ascolto, in caso contrario il dialogo non può funzionare e prima o poi finirà». Secondo Epifani al sindacato «sono stati mossi gli attacchi più forti, ispirati a un ritorno di paternalismo ottocentesco, gli attacchi di chi dà senza contrattare e lo teorizza pure». Secondo Epifani «sono in tanti che non vogliono regole né in alto né in basso, hanno allergia ai tavoli con più sedie di fronte, vogliono rendere inutile la funzione sindacale e non ti riconoscono come soggetto di rappresentanza». I sindacati, ha detto Epifani, chiedono al governo «un intervento fiscale redistributivo su tutti i redditi da lavoro dipendente e da pensione pari a circa 400 euro a testa per sostenere la domanda in una fase di difficoltà crescente del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati».
Il segretario generale si difende poi dall’accusa di chi dipinge il sindacato come il difensore dei fannulloni, in particolare nel pubblico impiego. «Anche per noi chi froda, chi viene meno ai suoi doveri, non può essere difeso», ma «con la stessa nettezza ci opponiamo a una raffigurazione caricaturale del lavoro pubblico, a campagne qualunquistiche che fanno di ogni erba un fascio». Sulla trattativa con la Confindustria sulla riforma del modello contrattuale: «Sarà una prova anche per il nuovo presidente di Confindustria: Marcegaglia è un interlocutore serio e rigoroso. Non mi è sfuggito il rispetto con cui Marcegaglia si è rivolta a tutto il sindacato italiano, alla sua funzione e alla sua rappresentatività».