Si è aperta la partita della riforma della Pubblica Amministrazione. E se il primo round è durato solo 15 minuti (tanto è bastato alla CGIL per abbandonare il tavolo del confronto), è facile profeta chi annuncia un percorso tutto in salita. Il Ministro Brunetta ha presentato le linee programmatiche di un Piano Industriale, che dovrebbe portare un risparmio di circa 8 miliardi di euro in tre anni e soprattutto porre le basi per il risanamento, la ristrutturazione e il rilancio della macchina pubblica italiana.



Tra i vari interventi proposti, ce ne sono alcuni che non hanno guadagnato le prime pagine dei giornali, ma che presentano profili di estremo interesse. Per esempio, il Piano prevede di riallocare alcune funzioni tra l’amministrazione e i privati, secondo un modulo che possa prescindere dall’intervento legislativo. Significa che determinati servizi e prestazioni, precedentemente erogati in forma esclusiva dalle amministrazioni pubbliche, potrebbero essere forniti da privati, senza che questo spostamento richieda ogni volta una apposita legge. È quanto ha fatto la Lombardia con il metodo dell’accreditamento degli enti di formazione e dei centri per il lavoro: il governo fissa alcuni requisiti di accesso al sistema e riconosce la funzione pubblica svolta da tutti i soggetti accreditati, anche da quelli privati. Si tratta di una applicazione intelligente del principio di sussidiarietà, per cui l’amministrazione pubblica non pretende di “fare tutto”, spesso con maggiori costi e minore efficienza, ma valorizza ciò che già esiste nella società.
Nell’arco dei prossimi tre anni, il Piano prevede inoltre la completa digitalizzazione della PA, che dovrebbe portare notevoli risparmi economici e una decisa semplificazione nell’accesso ai servizi da parte di cittadini e imprese. Infine, il Ministro affronta il nodo dell’efficienza del lavoro pubblico, con lo scopo dichiarato di stabilire una piena analogia con l’impresa privata. Per questo chiede ai dirigenti di attuare forme di vigilanza sui collaboratori. Ma questo non basta: irrigidire i controlli e accelerare i procedimenti disciplinari non risolverà il problema della produttività della pubblica amministrazione.
Se la vera rivoluzione è il passaggio dalla cultura delle procedure a quella del risultato, occorre un intervento di semplificazione dei vincoli legislativi che oggi soffocano sia il sistema di reclutamento e gestione del personale sia l’azione quotidiana dei dipendenti pubblici. Occorre qualificare una parte dell’apparato pubblico perché sia in grado di accompagnare le attività verificando gli effetti finali, i servizi prodotti e l’efficacia dei servizi prodotti.



Sarebbe un errore affrontare una questione complessa come la riforma della PA in modo demagogico, cedendo alle sirene dell’antipolitica. Quando il Ministro afferma che «la Pubblica Amministrazione oggi è una palla al piede del Paese» sbaglia, dimentica il ruolo strategico svolto da tutte quelle amministrazioni che ogni giorno si mettono al servizio delle persone e del bene comune, sostenendo la crescita e lo sviluppo della nostra società. Ruolo, questo, non delegabile da parte della Pubblica Amministrazione a nessun altro soggetto. Amministrazioni che sono sicuramente interessate a collaborare col Ministro per realizzare un sistema più efficiente e vicino ai cittadini.
D’altronde, non si può costruire sul niente: occorre ripartire da ciò che già esiste, valorizzare le best practice italiane ed internazionali, favorire un confronto aperto tra pubblico e privato.

(Foto: Imagoeconomica)

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