In un’intervista al Corriere di ieri Pietro Ichino sostiene che il centrodestra “ha interiorizzato il tabù” relativo alla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e che senza tale riforma non si può combattere il precariato. Qual è il suo giudizio in proposito?

Non sarei così categorico. Le soluzioni al precariato possono essere tante e diverse; la risposta non passa solo dalla modifica all’art. 18. Sarebbe troppo semplice. Inoltre aprire una stagione di scontro con il sindacato non gioverebbe a nessuno, men che meno ai lavoratori. Occorre piuttosto procedere ad una rivisitazione di tutto l’impianto delle tutele.



Modernizzazione del diritto del lavoro e flessibilità nella sicurezza devono diventare concetti chiave sui quali iniziare un ragionamento. Il punto fondamentale è come bilanciare flessibilità e sicurezza. Da questo punto di vista ritengo che la flessibilità sia uno strumento necessario per affrontare le sfide del mercato del lavoro.



Il senatore del Pd propone sostanzialmente il contratto a tempo indeterminato per tutti, ma allargando la possibilità di licenziamento. È questa una ricetta valida per risolvere i problemi del mercato del lavoro italiano?

Il centrodestra ha un’idea diversa. L’idea di Ichino non mi vede d’accordo. Con questa ricetta si risolve solo una parte del problema, quello cioè dei cosiddetti occupati di lunga durata. Dove andrebbero, invece, i disoccupati di lunga durata , quelli di ritorno o fisiologici? L’incentivazione piuttosto dovrebbe passare dalla realizzazione di un vero e proprio “mercato del lavoro” frutto di domanda e offerta, con le garanzie previste a livello nazionale ma soprattutto comunitario. Sotto quest’ultimo aspetto, è responsabilità del precedente governo il non recepimento della direttiva di adeguamento delle qualifiche dei lavoratori atte a garantire la loro libera circolazione nello spazio comunitario.



Qual è la “ricetta” del centrodestra per aumentare l’occupazione, cercando di non trasformare la flessibilità in precarietà?

Occorre una decisa azione di deregolazione nello spirito della legge Biagi, anche considerando i due anni del governo Prodi che ha tentato di reirrigidire le procedure. Si proporrà una abrogazione della nuova disciplina delle dimissioni volontarie, si rimetterà mano al Testo unico sulla sicurezza, riducendo le sanzioni, e si rivedranno i contratti a termine.

Bisogna parlare anche di tempo del lavoro e di flessibilità dell’orario per rimodularlo in relazione alle esigenze delle imprese e consentire in tal modo una migliore adattabilità tra esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori. Il Governo ha già deciso, il Parlamento ne discuterà.

Una detassazione sui redditi da lavoro dipendente più bassi può essere una buona misura per aiutare i lavoratori che sono più in difficoltà?

Più facile a dirsi che a farsi. Volendo essere realisti, dico che bisogna sostenere i salari così da avere anche una maggior produttività e la detassazione degli straordinari e i premi di produttività vanno in questa direzione.

Si sta pensando poi ad una tassazione fissa, semplificata del 10%. L’idea potrebbe essere quella di lavorare di più e meglio per guadagnare di più e meglio, in un’ottica di responsabilizzazione del lavoratore che diventa parte fattiva dell’azienda.

Secondo Lei è utile restituire importanza alla contrattazione di secondo livello aziendale/territoriale per poter cercare di aumentare i salari dei lavoratori?

Ritengo non si possa devolvere alla contrattazione il livello salariale. Piuttosto in questo momento di debolezza della contrattazione “politico/sindacale” e della crescita zero è evidente che la contrattazione può sembrare necessaria, ma non è sufficiente.

Il problema è spostare la rincorsa dalle tutele alla ricerca di un mercato vero del lavoro. Il tutto in un’ottica concertativa che coinvolga il complesso generale delle responsabilità.