Presidente Penati, quali sono secondo lei i punti principali per una nuova legislazione sull’housing sociale, che risponda concretamente ed efficacemente al problema casa?

È necessario creare un concerto di politiche pubbliche, sia a livello locale, sia a livello nazionale, che creino un mercato dell’housing sociale, dove ci sia la possibilità di remunerare il capitale investito con tassi che non siano basati su attese speculative. Ci vuole dunque un investimento massiccio, perché, guardando le esigenze dell’area metropolitana milanese, il tema dell’housing sociale non si misura più in migliaia, ma in decine di migliaia di alloggi. C’é bisogno di fare i conti con il motore economico.
Politiche pubbliche non sono da intendersi come intervento diretto del pubblico che realizza nuove case popolari; il tema delle case popolari deve essere impostato sulla rotazione di questi alloggi, che ora sono a rotazione bassissima. Ogni anno la rotazione si basa solo sui decessi, invece bisogna cominciare a prendere in considerazione l’eventualità che l’alloggio pubblico rimane finché c’è uno stato di bisogno. Una volta cessato lo stato di bisogno, l’alloggio credo debba essere liberato, per poter ospitare chi si trova in stato di necessità in quel momento. Il punto verte sul principio della sussidiarietà: il pubblico che sostiene lo sviluppo di un settore che fa i conti con l’economia di mercato, ma che non solo trova interessante economicamente, ma che ha anche come obiettivo quello di compiere un atto rilevante dal punto di vista sociale.



Ci sono molte associazioni e realtà private che agiscono in questo campo: come si può creare una rete tra il servizio pubblico e queste varie realtà?

Io credo che la prima cosa sia una legislazione anche a livello regionale che consenta con maggiore facilità di mettere a disposizione le aree di proprietà pubblica, anche di destinazione standard di proprietà dei comuni, per poter realizzare interventi di housing sociale. Togliendo quindi l’incidenza nella rendita fondiaria, che molte volte è una rendita con attese speculative nel nostro Paese, e ha un’incidenza molto elevata sul prezzo di vendita dell’alloggio. Un abbattimento degli oneri di urbanizzazione e un intervento a livello nazionale sull’Iva portandola dal 20 al 4%, proprio riconoscendo concretamente che lì si sta facendo un intervento privato che si sostituisce a quello pubblico, avendo le stesse finalità e gli stessi obiettivi.



Per quanto riguarda la sua attività di Presidente della Provincia, qual è stata la sua azione  fin’ora in questo campo e quali le prospettive future?

Su questo tema pensiamo di costituire un anello di snodo e di congiunzione per fare rete con i Comuni e con quegli operatori che sono pronti e disponibili a intervenire sull’housing sociale. Cercheremo anche di tenere insieme programmazioni di diverso tipo, per esempio privilegiando interventi di nuova residenzialità visti nella prospettiva dell’area metropolitana, con particolare attenzione a quegli interventi dove si prevede uno sviluppo degli assi strategici del trasporto pubblico locale. Questo per evitare che da una parte si sviluppi la metropolitana, e da un’altra parte si costruiscono le case, così che la gente resta costretta a usare le macchine. C’é la necessità di fare coordinamento, di fare rete, e di intervenire economicamente, perchè se si dovesse creare un fondo per l’housing sociale, insieme alle fondazioni bancarie e ad altri enti, la Provincia potrebbe essere uno dei partner nella costituzione di questo fondo di garanzia.



In prospettiva dell’Expo 2015 Milano e tutto l’hinterland avranno un grande attivismo anche a livello edilizio. Tutta questa attività secondo lei può essere portata avanti tenendo conto del problema casa?

Partiamo da una constatazione: il costo così elevato dell’abitare sta cambiando la composizione sociale delle nostre città. Milano è una città che da una parte ha perso popolazione, e dall’altra ha una popolazione vecchia, sopra la media delle altre città dell’area metropolitana. Questo (a parte il fatto positivo dell’allungamento della vita media) è un fenomeno dovuto soprattutto al fatto che è più complicato per un giovane oggi trovare una sistemazione abitativa sostenibile sul piano economico nella città di Milano. Questo processo ha investito a catena i Comuni della prima cintura: i giovani innanzitutto, per trovare una soluzione abitativa, sono costretti a spostarsi nelle parti più esterne dell’area metropolitana milanese. Questo, appunto, cambia la composizione sociale di Milano; se ad esempio si osserva il numero di asili nido realizzati con i contributi della Provincia, molti sono nei Comuni della seconda cintura, dove c’é il baby-boom dovuto a una popolazione giovane di nuovo insediamento. Occorre invertire questa tendenza, tenendo conto che l’Expo può essere addirittura deflagrante da questo punto di vista.
Se è vero ciò che Il Sole 24 Ore riportava qualche settimana fa, cioè che in tutte le città dove sono stati allestiti grandi avvenimenti poi è cresciuto il valore degli immobili, questa ulteriore crescita indotta dall’Expo andrebbe ad innestarsi su un prezzo già altissimo come quello dell’attuale. È chiaro che questo processo diventa di nuovo un processo di mutazione sociale, e quindi lascia come risultato ai milanesi il fatto che sarà più complicato risolvere il problema dell’abitare a Milano. È dunque indispensabile che ci sia un piano che metta sul mercato una forte offerta di housing sociale, se non si vuole che alla fine l’Expo, invece che una grande opportunità, diventi un ulteriore elemento di disagio rispetto al tema dell’housing.

Quindi il problema dell’housing sociale a Milano non può essere risolto pensando solo ed esclusivamente a Milano, ma tenendo conto di tutta l’area circostante.

Certo, il problema non può essere risolto pensando solo a Milano. Il fatto che gli alloggi a Milano partano da 5-6 mila euro al metro quadro costituisce un setaccio sociale notevole. Ecco perchè i giovani sono costretti a vivere a trenta, quaranta chilometri da Milano, dove ci sono condizioni di acquisto o di affitto sostenibili. L’Expo non può essere ancora elemento di espulsione, dove Milano diventa una città vecchia e di benestanti che si possono consentire l’accesso a quella casa, mentre espelle giovani e ceto medio dalla città. Se l’Expo dovesse rivelarsi tale, anziché essere un’occasione diventa una iattura. L’Expo deve essere un’occasione per il sistema economico di Milano per mettersi in vetrina, ma deve fornire benefici concreti a cittadini e cittadine.