E’ di scena questa settimana lo slogan “Semplificare per crescere: dal rapporto Attali alla via italiana”: è significativo perché in Italia la semplificazione è da tempo sull’agenda politica, con risultati finora deludenti. Un imprenditore italiano parte svantaggiato rispetto ai suoi concorrenti: i costi di start-up sono 17 volte quelli di un competitor inglese (che spende 207 euro) o francese (301 euro). Ogni impresa italiana brucia in burocrazia il 5% del fatturato e ventiquattro giornate/persona l’anno. Il risultato deludente nasce dal fatto che in Italia le deleghe statali di semplificazione si sono strutturate esse stesse come “lenzuoli” normativi che hanno prodotto decreti legislativi torrenziali e alluvioni di regolamenti. Per ogni legge abrogata rinasceva un regolamento, per ogni semplificazione una o più norme. Inoltre, un incompleto federalismo ha complicato le cose perché, nonostante alcune Regioni abbiano avviato semplificazioni importanti, il problema dell’intreccio delle competenze non è stato adeguatamente risolto.



Occorre un cambiamento di metodo: la “semplificazione” desiderata da tutti deve andare nella direzione della sussidiarietà superando l’idea che solo quello che è pubblico è per definizione “morale”. Il cittadino prima che un “controllato” da parte della Pubblica Amministrazione, deve essere considerato una “risorsa” per la collettività. In quest’ottica la verifica di requisiti previsti dalle leggi potrà essere fatta direttamente dal cittadino, risparmiando i tempi della burocrazia. Si passerebbe così dal controllo ex ante al controllo ex post, sfruttando adeguatamente le potenzialità di strumenti come le dichiarazioni di inizio di attività e le autocertificazioni. Sembra che il cambiamento annunciato dal Governo vada in questa direzione perché l’accento è sulla necessità di verificare l’operato della stessa Pubblica Amministrazione, sulla valorizzazione delle professionalità, del merito, della qualità dei servizi e della soddisfazione dei cittadini. Il superamento della diffidenza verso il privato è un primo tassello di quella “rivoluzione culturale” su cui innestare un nuovo sviluppo del Paese.

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