I temi eticamente sensibili rivestono un ruolo sempre più importante per l’attività politica nel nostro Paese: non per nulla l’attuale governo Berlusconi ha deciso di creare un apposito sottosegretariato al ministero del Welfare, con delega proprio ai temi etici. L’incarico è ricoperto da Eugenia Roccella, neoeletta nelle liste del Pdl; molte per lei le questioni calde, che attendono una soluzione chiara e convincente.



Partiamo dalle linee-guida alla legge 194: quali sono i contenuti che questo Governo cercherà di attuare e come verrà impostato il lavoro per trovare un accordo condiviso con le regioni?

Già nelle precedente legislatura il ministro Turco ha cercato di stendere delle linee guida sulla 194, e lo ha fatto nella conferenza Stato-Regioni. Quello è certamente il luogo adatto, dal momento che la legge, essendo la sanità competenza regionale, è poi applicata dalle regioni stesse.
Sui contenuti, le linee guida della Lombardia potrebbero certamente essere una buona traccia; ma ci sono anche altre esperienze che potrebbero confluire nell’elaborazione, come ad esempio quello che stanno facendo in Emilia Romagna. La cosa fondamentale è considerare le criticità della legge, la cui interpretazione e applicazione non è omogenea.



Quali sono queste criticità?

La legge ha 30 anni, e in questo lasso di tempo sono cambiate le tecnologie, le strutture, e sono cambiate anche le donne. Il tipo di accesso all’aborto è cambiato: basti pensare al numero di immigrate, oppure al piccolo ma preoccupante aumento di interventi di interruzione volontaria di gravidanza tra i minori. Non sono ancora cifre allarmanti, ma è il segnale che è allarmante. Quindi bisogna intervenire tenendo conto dei vari punti di disomogeneità interpretativa e applicativa della legge. Per quanto riguarda ad esempio la prevenzione, va sviluppata la rete dei consultori e va monitorata l’azione che questi fanno sui territori. Bisogna individuare le migliori pratiche, e capire quali sono gli interventi davvero utili rispetto a quella che è la vera finalità di tutti gli interventi in questo campo: ridurre a zero il numero degli aborti.



Lei è recentemente intervenuta anche sulla questione dell’obiezione di coscienza, da una parte difendendo questo diritto, e dall’altra sottolineando che non ci deve essere un impedimento all’applicazione della legge. Come intende bilanciare questi due aspetti?

Io non credo che l’obiezione di coscienza, stante i numeri che ci sono, sia un problema per l’efficienza della legge. Non per nulla i numeri più alti sono in regioni in cui nessuno ha sollevato problemi di applicazione della legge, e di impossibilità di accedere all’aborto. Mi riferisco ad esempio a realtà come le Marche, o l’Emilia Romagna.

Quindi in realtà non si pone il problema di una mancata applicazione a causa di un eccessivo numero di obiettori?

Il problema della mancata applicazione della legge non mi sembra correlato all’obiezione di coscienza. L’obiezione poi non è solo dei medici, ma anche di ostetriche e infermieri. Il fenomeno è dunque variegato, e da studiare, ma non è in diretta correlazione con l’efficienza della legge. La cosa fondamentale è poi il fatto che l’aborto dovrebbe essere considerato un problema di tutti, non solo delle donne. Chiaramente l’ultima parola spetta alle donne, però non è un problema solo loro. Riguarda le famiglie e chiunque è coinvolto: medici, strutture, cittadinanza. E’ un problema sociale, non un problema privato. Occorre pensare a un modo in cui i medici, anche obiettori, siano coinvolti in questo, ovviamente rispettando la loro scelta di obiezione.

Il ministro Sacconi ha detto che si metterà mano anche alle linee guida per la legge 40. L’altro giorno, poi, è stata anche presentata una mozione di parlamentari in cui si chiede di togliere le linee guida della Turco. Cosa intende fare da questo punto di vista?

Mi sembra evidente che la diagnosi preimpianto, che ha evidenti finalità eugenetiche, non sia assolutamente compatibile con la legge, e quindi non può essere inserita nelle linee guida senza che si stravolga una serie di articoli della legge stessa. Quando è stato fatto il referendum sulla legge 40, ricordo che ci fu l’appello dei 100 scienziati (tra cui Veronesi, Montalcini etc.): tutti sostenevano pubblicamente che per inserire la diagnosi preimpianto nella legge bisognava abrogarne una serie di commi. È quindi evidente che la diagnosi preimpianto è vietata dalla legge, ed è stata certamente una forzatura inserire questo elemento palesemente incompatibile. Bisogna per forza di cose riportare le linee guida al rispetto della legge.
Ora c’é una delicata situazione giuridica, dato che è coinvolta anche una sentenza della Corte Costituzionale; per questo motivo non so dire quale sarà lo strumento che sceglieremo. Ma è chiaro che non si può lasciare questa ambiguità, che mette confusione sia tra gli operatori sia tra i pazienti.

Un rapido giudizio sui fatti di questi giorni riguardanti lo scandalo della clinica milanese. Molti hanno preso spunto dai fatti accaduti per criticare il sistema di accreditamento della sanità in Lombardia. Come vede lei questo sistema? C’é rapporto tra questi fatti di cronaca e il sistema di accreditamento della sanità lombarda?

Mi pare proprio di no. E’ chiaro che un caso del genere poteva accadere in Lombardia come altrove. Si tratta di un caso di corruzione e di malasanità, un caso di deviazione dalla sostanza della professione medica, della deontologia professionale più basilare. A seconda del sistema in cui si trova, la mela marcia ne prende le sembianze; se fosse stata altrove, avrebbe avuto altre caratteristiche. E’ dunque un caso limitato di corruzione e di abbandono di ogni criterio deontologico professionale minimo, che poteva avvenire in qualunque situazione.

(Foto: Imagoeconomica)