Dopo la due giorni del Consiglio europeo, durante la quale la questione della vittoria del no al referendum sul Trattato di Lisbona ha rappresentato l’argomento predominante, risulta evidente una chiara intenzione da parte dei vertici istituzionali comunitari e dei Capi di stato e di governo di continuare e anzi di accelerare le procedure di ratifica del Trattato in tutti gli stati in cui questo non è ancora avvenuto. In realtà, come ci si aspettava non è stata presa ancora alcuna decisione definitiva, infatti dalla bozza di conclusioni si evince soltanto che il Consiglio Europeo prende atto che «occorre più tempo» per esaminare la situazione del Trattato e che l’Irlanda «procederà attivamente» in consultazioni interne e con i partner per «proporre una via di uscita». Si torna infine sulla lontananza dell’Europa dai cittadini annunciando un forte coinvolgimento che porti”risultati concreti” nelle politiche che «preoccupano i cittadini». Il Consiglio Europeo prende atto inoltre che già si sono avute 19 ratifiche da parte dei paesi membri del Trattato di Lisbona e che le ratifiche «proseguono in altri paesi».
È importante sottolineare alcune prese di posizione. Il Presidente del Parlamento euorpeo Hans-Gert Pottering ha insistito sulla necessità di proseguire sulla strada delle ratifiche proponendo di terminare la procedura al più tardi in concomitanza con il prossimo Consiglio europeo che avrà luogo in ottobre, permettendo così l’entrata in vigore del Trattato in tempo per le elezioni europee del giugno 2009.
Una ratifica in tempi brevi del Trattato da parte di tutti i paesi e un superamento del concetto di unanimità, che storicamente costituisce un freno al processo di integrazione politica e alla capacità decisionale dell’Unione, impedirebbe una paralisi istituzionale che andrebbe a cancellare in un solo colpo tutti gli importanti progressi che il Trattato di Lisbona presenta per quanto riguarda il livello di democraticità dell’Unione. Sembra una contraddizione: il popolo irlandese boccia il Trattato di Lisbona facendo pagare all’Unione europea il suo enorme deficit di democrazia e poi si scopre che in realtà il trattato aumentava questa democraticità. Non è facile il linguaggio del Trattato e non è facile che 400 pagine di formule che rimandano ad altre leggi riescano ad interessare e ad essere comprese dai cittadini. Non è soprattutto facile per 500 milioni di cittadini dell’Unione, un popolo la cui storia è stata forgiata dall’ideale cristiano, accettare che questo ideale non sia considerato minimamente come fondante il progetto europeo. Non è facile accettarlo, ma paradossalmente la ratifica e l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona favorirebbero dei passi avanti in questo senso. Dopo la paralisi del 2005 è stato abbandonato il concetto di una Costituzione europea perché considerata troppo rigida e ingombrante. Il Trattato di Lisbona, proprio per la sua natura è flessibile e lascia spazio a margini di trattativa per cambiamenti in un futuro non troppo lontano, ma soprattutto perché alla cultura del politicamente corretto si sostituisca la capacità di prendere decisioni per il bene comune che ha caratterizzato la leadership dei grandi e veri europeisti del passato.