Il botta e risposta tra Bossi e Bersani sul federalismo apre un dibattito destinato a durare. E a creare qualche polemica, in buona parte strumentale. Quella che si è aperta un paio di settimane fa ha tutte le caratteristiche per essere la legislatura delle riforme condivise, necessarie a modernizzare il Paese. Ed uno dei capitoli principali è senz’altro quello del federalismo, tema caro alla Lega ma non solo. Il sillogismo è pronto: se le riforme si fanno assieme e quella dell’assetto federale viene al primo posto, meglio testare subito la buonafede dell’opposizione.



Da Pontida, il Ministro per le Riforme ha invocato la sponda del PD, per disegnare un nuovo schema di organizzazione dello Stato e delle sue territorialità. La risposta di Bersani è sembrata quasi un eccesso di zelo, prematura rispetto anche solo ad un disegno che magari sarà nella testa di Bossi, ma che nessuno ha ancora visto e che sarà indubbiamente il frutto di un compromesso politico. Il ministro ombra del PD ha espresso la volontà di ripartire da dove Prodi aveva lasciato e dal testo già in esame presso la Conferenza Stato-Regioni. Un federalismo quindi fortemente solidale, con una buona componente di intervento sulla perequazione fiscale. Un’argomentazione che ha una sua dignità politica, alla luce soprattutto dello sconvolgimento del carnet fiscale imposto dal governo con l’abolizione definitiva dell’ICI sulla prima casa, principale fonte di finanziamento dei Comuni italiani.



Per ora, le contrapposizioni che si vedono tra maggioranza ed opposizione sono solo strumentali. Non esiste una divergenza concreta tra Formigoni e Chiamparino, tra chi richiama l’esigenza di una più vasta autonomia fiscale di Regioni e Comuni e chi sottolinea la necessità di non scavare un solco nella ricchezza relativa e negli investimenti tra Nord e Sud del Paese. Le due cose possono, anzi devono andare assieme. E su questo punto i due schieramenti sono sostanzialmente d’accordo. Il punto principale, difatti, non è tanto la garanzia di un prelievo fiscale territoriale, quanto la necessità di migliorare e incentivare la capacità manageriale di spesa e di investimento dei Comuni e delle Regioni. Di tutte le regioni.



Bersani fa bene a porre un punto politico e a rilanciare sulla base di un documento in fase di avanzata definizione. Ma non va dimenticato che il centrosinistra già si fece artefice di una riforma zoppa, quella del Titolo V della Costituzione, che sta dimostrando di non funzionare perché troppo prudente ed ambigua, soprattutto sotto il profilo della fiscalità.

E allora veniamo al punto debole, quasi sostanziale, del centrosinistra di questi anni: la questione fiscale. Che è l’autentico vulnus di una cultura politica da riformare. Tra tormentoni sulla bellezza del pagare le tasse, sui controlli fiscali di Visco, sulle pubblicazioni online dei redditi, il centrosinistra non ha ancora una posizione moderna sulle tasse e non ha saputo elaborare una sintesi tra la capacità di ridurre le imposte e la garanzia di servizi migliori. Il federalismo è una buona parte della soluzione. Non basta, nella misura in cui deve essere accompagnato dalla efficienza della macchina pubblica, dal taglio degli sprechi e delle duplicazioni. Da qui occorrerà ripartire, da un disegno serio di assetto federale che neanche la Lega sarà in grado di smentire o disconoscere. Il PD eviti di mettere le mani avanti e garantisca invece quel supporto culturale autorevole che può fornire ad un federalismo equo, non solidale. Cominciando a parlare di tasse in maniera più moderna.

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