Il Ministro Brunetta ha proposto un articolato piano per la ristrutturazione della Pubblica Amministrazione italiana che ha da subito scatenato una prima reazione negoziale e politica prima che tecnica secondo lo schema tradizionale della ritualità sindacale del nostro paese. Chi è addentro ai temi della negoziazione come processo di influenza reciproca ben riconosce nell’atteggiamento della CGIL una posizione di forma e non di sostanza, volta a ricordare all’interlocutore il proprio peso politico ed istituzionale più che a discutere nella sostanza le sue proposte.
D’altra parte ognuno interpreta il proprio mestiere con le categorie che più ha nel tempo sperimentato anche quando esse, come in questo caso, si dimostrano immediatamente fuori contesto. In un momento in cui è evidente la necessità di trovare soluzioni nuove perché quelle tradizionali non bastano più, anche gli schemi di relazione devono essere messi in discussione. In questa direzione, il piano del Ministro Brunetta si dimostra un tentativo importante di cambiare le regole del gioco e di indicare con chiarezza uno schema complessivo di azione e di intervento, dietro al quale per chi conosce il tema non è difficile identificare l’ispirazione di qualche grande practice consulenziale. Il tema della produttività del pubblico impiego è un elemento significativo sia per il suo portato simbolico sia per l’impatto che può avere sul funzionamento delle diverse istituzioni che ne sono influenzate, a partire dalle imprese. In ambito economico, tuttavia, la produttività è anche l’elemento centrale sul quale ci si basa per la definizione del valore del lavoro, ovvero il salario da riconoscere. Se si analizza il pubblico impiego da questo punto di vista, si può notare come esso riconosca in media rispetto al settore privato retribuzioni più elevate alle posizioni organizzative più basse e ad alcune delle posizioni apicali, schiacciando la dinamica salariale di tutte quelle posizioni intermedie di natura gestionale o professionale dove in generale le organizzazioni creano davvero valore. Il quadro complessivo è quindi di una struttura retributiva meno interessante di quella del privato e in grado di attrarre o persone con basse competenze e limitato capitale umano, o persone che sono interessate solo alle posizioni apicali che per loro natura hanno di solito un impatto più simbolico che sostanziale. Questa considerazione spiegherebbe perché il differenziale di produttività tra l’Italia e gli altri paesi europei sembri oggi più alimentato dal differenziale nel privato piuttosto che nel pubblico, nonostante la percezione popolare e alcuni richiami anche del documento del ministro Brunetta.
Nel pubblico impiego, la scarsa produttività sarebbe quindi compensata dalle retribuzioni in media molto più basse rispetto ad altri paesi favorendo l’impressione di uno scambio al ribasso caratterizzato da basse retribuzioni e contenuti poco professionali, ai quali corrisponderebbe una bassa richiesta di impegno. La riforma del pubblico impiego per evitare di ricadere nei modelli astratti di molte practice consulenziali, che già in passato non hanno dato buona prova di sé quando confrontatesi con la realtà della Pubblica Amministrazione, dovrebbe quindi partire da qui, dal riconoscimento di un contratto psicologico tra persona ed organizzazione storicamente modellato sul basso. Si tratta di un processo che per riuscire deve essere capillare e raggiungere le singole realtà all’interno di un quadro di indirizzo caratterizzato da obiettivi ben definiti; deve essere un processo partecipato e non delegato a immaginifici consulenti esterni. Un processo quindi che richiede un forte investimento in una generazione nuova di dipendenti pubblici giovani, competenti in ambito organizzativo e di gestione delle risorse umane e chiamati a contribuire ad un grande progetto in una logica simbolica simile a quella del New Deal. Senza questa anima, il rischio è che si tratti di una miriade di investimenti più o meno costosi volti ancora una volta a deresponsabilizzare gli attori interni alla PA in favore di consulenti prezzolati.