Il lodo Alfano, che prevede l’immunità per i processi penali, anche per fatti antecedenti l’assunzione della carica e della funzione, per le quattro più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidente della Camera e Presidente del Senato) è stato votato oggi alla Camera e, dopo il passaggio al Senato, andrà alla firma del Presidente della Repubblica per la promulgazione.



Pare che il Presidente Napolitano non porrà il proprio veto sul disegno di legge, sia perché in armonia con la sentenza della Corte Costituzionale (che dichiarò incostituzionale il precedente lodo Schifani nel 2004), prevedendo l’attuale versione che la misura operi per l’intera durata della carica o della funzione e non sia reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della legislatura (con sospensione dei termini di prescrizione), sia – ritengo – per i motivi di evidente opportunità che intendo illustrare.



È sotto gli occhi di tutti che il Governo del Paese è imbavagliato da un esasperato conflitto politico e istituzionale sui temi della giustizia.

Nel contesto di questo conflitto è stato proposto, attraverso lo strumento del decreto legge in materia di sicurezza un emendamento destinato a sospendere per un anno tutti i processi per reati commessi prima del 30 giugno 2002, privo di giustificazioni giuridiche accettabili e con il rischio di una pesante ricaduta in termini di funzionamento del già dissestato apparato processuale giudiziario: proposta che ha esacerbato la conflittualità e riproposto l’urgenza di trovare una soluzione al difficile rapporto tra politica e magistratura che da decenni attanaglia il Paese, e non permette quel dialogo indispensabile per dare inizio alla stagione delle grandi riforme che non può più essere rimandata.



Ho già sostenuto, in un precedente articolo del 27 giugno scorso pubblicato su questo quotidiano, quale grave anomalia rappresenti per l’Italia il fatto di non avere un filtro istituzionale (un’immunità prevista per le alte cariche dello Stato o di tutti i parlamentari) che garantisca il primato della politica e, quindi, la sua autonomia e indipendenza, contemperando l’esigenza che tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge (anche se il cittadino eletto rappresentante del popolo non è un cittadino qualunque: si veda in proposito il citato articolo) e la necessaria – responsabile – indipendenza della magistratura.

L’immunità parlamentare, caduta nel 1993 in piena epoca di tangentopoli, aveva garantito fino ad allora un rapporto sereno e costruttivo tra la politica e la magistratura (pur in un Paese attraversato da gravissimi fenomeni sociali, politici e giudiziari, basti pensare alla stagione del terrorismo o dei pentiti e della lotta alla mafia); dal 1993, viceversa, si è assistito ad una crescente contrapposizione tra i due poteri e ad un imbarbarimento della coscienza collettiva lacerata dalla divisione ideologica tra giustizialisti e garantisti.

Se ciò è vero – e non vi è come la verifica della storia fino ai giorni nostri a conferma del giudizio espresso – emerge con tutta evidenza come il lodo Alfano sia il minimo riparo a questa situazione, che finora ha danneggiato pesantemente la possibilità di governare il Paese a detrimento del bene comune e delle reali esigenze dei cittadini.

Non solo: è estremamente urgente che chi è stato chiamato a governare dalla maggioranza degli elettori (ben consci delle pendenze giudiziarie in essere, ma altrettanto consci dell’uso distorto dell’azione giudiziaria che ha caratterizzato molte indagini e processi nei confronti dei politici in questi anni), lo possa fare serenamente, adempiendo al mandato ricevuto dai cittadini che hanno, democraticamente, deciso chi e come deve guidare il loro Paese.

Abbiamo assistito ad un’avvilente manifestazione di piazza che, in nome della legalità e della libertà di manifestare la propria opinione e il proprio dissenso nei confronti dell’azione di governo, si è trasformata in un’incivile sequenza di interventi volgari e intolleranti nei confronti di tutto e di tutti e, in particolare e paradossalmente, nei confronti delle figure più attente e sensibili al bene comune (quali il Papa e il Presidente Napolitano); assistiamo, altresì, ad un’opposizione che, per esistere, deve sostenere – contro ogni evidenza – che non ci sono ragioni di necessità e urgenza per licenziare il lodo Alfano nel più breve tempo possibile, pur nel rispetto del confronto parlamentare, e poter poi finalmente affrontare i gravi problemi del Paese, avendo posto le condizioni di un possibile dialogo.

È appena apprezzabile la posizione di quelle forze di opposizione che si sono astenute, ammettendo implicitamente la necessità dello “scudo” per le alte cariche dello Stato, anche se ci si sarebbe aspettati una presa di posizione più coerente e coraggiosa, per il bene del Paese, non foss’altro perché sostenitori da sempre del ripristino della cancellata immunità parlamentare precedente: ma si sa che la dura legge della politica e delle alleanze impone equilibrismi al limite della decenza.

Ben venga dunque il lodo Alfano: tutti noi avremmo preferito una soluzione più meditata, un confronto parlamentare ampio e con una tempistica più adeguata alla delicatezza e all’importanza del tema, ma siamo arrivati ad un punto di tale lacerazione che ogni esitazione o ritardo sarebbero deleteri.

È già un grande risultato il fatto che, con responsabilità, la maggioranza abbandoni l’idea dell’emendamento cosiddetto “blocca-processi” e, risolto almeno in parte con il lodo Alfano il conflitto in essere, continui, sulla strada intrapresa, ad affrontare con decisione e pragmatismo gli altri gravi problemi che stanno collassando i cittadini italiani e portando al degrado il nostro Paese.

Se si sblocca questa situazione di stallo, continuo a pensare che prima o poi andrà riaffrontato seriamente e compiutamente il problema dei rapporti istituzionali tra i poteri dello Stato e, auspicando larghe intese, arrivare ad una legge costituzionale che ripristini l’immunità parlamentare: non si può pensare lealmente di poter affrontare le grandi riforme, soprattutto in tema di giustizia, prescindendo da questo strumento e da una rinnovata volontà di dialogo attualmente, purtroppo, impensabile.

Per il momento accontentiamoci che il Paese riparta, che il Governo riesca ad attuare le riforme più urgenti e sentite dai cittadini senza essere continuamente sotto ricatto, che l’opposizione faccia la sua parte abbandonando le derive giustizialiste; in fondo chiediamo solo un po’ di pace e di senso del bene comune. Siamo sempre stati un popolo pieno di risorse, non possiamo sprecarle: continuando a litigare andremmo alla deriva.