“Arriva la bufera”, si intitolava un film del 1993 di Daniele Luchetti che pareva fatto apposta per quei tempi. Quindici ani fa lo scenario politico nazionale venne messo a nudo nei suoi peggiori difetti: finirono in manette molti concussori e corruttori, e tra di essi vi finì anche qualche innocente di troppo. E purtroppo a molti dei presunti colpevoli non fu sadicamente concessa nemmeno la misericordia di riabilitarsi davanti alle proprie famiglie o di morire nella città nella quale avevano vissuto e lavorato.
Possibile che l’esperienza di quegli anni, ancora così vicini, non abbia insegnato nulla?
Possibile che ci ritroviamo ancora qui a parlare di giustizia politicizzata e di “teoremi accusatori”?
Sugli avvisi di garanzia a Berlusconi ormai ci avevamo fatto anche il callo, e li prendevamo così con un mezzo sorriso, perché sapevamo ormai che il tiro al Cavaliere era diventato una specie di hobby nazionale.
Poi è arrivata la questione della clinica Santa Rita. Ma anche lì molti dubbi sono rimasti, specie per coloro (non il sottoscritto) che sostengono la poca validità delle intercettazioni per fini procedurali ed accusatori.



Adesso però, per il caso della giunta regionale Abruzzese, siamo davanti ad una vera e propria indagine, col “merlo” che (proprio come fece Mario Chiesa) ha “cantato” facendo nomi e cognomi, snocciolando cifre su cifre ed offrendo agli investigatori la chiave per aprire molte porte che sarebbero dovute restare serrate.
Questo l’impressionante bilancio: dieci le persone arrestate dalla Procura della Repubblica di Pescara, e 25 quelle indagate. Si tratta della seconda parte delle indagini sulla cartolarizzazione di un miliardo di euro dei debiti della sanità regionale. Nella prima inchiesta (2006) furono coinvolte 45 persone di cui undici vennero arrestate. Secondo l’accusa vi sarebbero stati movimenti di denaro per circa 14 milioni di euro, di cui 12,8 già consegnati.
I principali reati contestati: associazione per delinquere, concussione per gestione privata nella sanità pubblica, corruzione, riciclaggio, truffa, falso e abuso d’ufficio. In carcere sono finiti: il presidente della Giunta regionale, ex presidente della Commissione Antimafia ed ex ministro delle Finanza, Ottaviano Del Turco, il segretario generale della Presidenza della Giunta regionale ed ex segretario regionale socialista, Lamberto Quarta, il neo assessore alle Attività Produttive Antonio Boschetti (Pd), il capogruppo regionale del Pd Camillo Cesarone, l’ex manager della Asl di Chieti Luigi Conga, e Gianluca Zelli. Agli arresti domiciliari l’assessore alla Sanità Bernardo Mazzocca (Pd), il suo segretario particolare Angelo Bucciarelli, l’ex presidente della Finanziaria regionale, Giancarlo Masciarelli (già arrestato due anni fa), l’ex assessore alla Sanità del centrodestra Vito Domenici (Pdl). E’ stato inoltre eseguito un provvedimento di divieto di dimora a Pescara nei confronti del direttore generale dell’azienda sanitaria regionale, Francesco Di Stanislao.
Le somme provenienti dalle corruzioni e dalle concussioni di cui alla contestazione sarebbero: 200 mila euro per Del Turco e Cesarone, 5,8 milioni per Del Turco, Cesarone e Quarta (oltre ad un ulteriore tentativo per altri 250 mila euro), 110 mila per Cesarone e Boschetti, 15 mila per Cesarone, 500 mila per Domenici e Masciarelli (più un tentativo per altri 500 mila euro), 6,25 milioni per Conga.



Alla base degli arresti e dei provvedimenti cautelari è la collaborazione importante di uno degli indagati: il “cantante” sarebbe l’imprenditore della sanità Vincenzo Angelini, amministratore della casa di cura Villa Pini d’Abruzzo di Chieti e proprietario della Sanatrix dell’Aquila. Dopo essere stato danneggiato dalla concussione, ha deciso di vuotare il sacco: grazie all’aiuto fornito nelle indagini, nei suoi confronti il Gip Maria Michela Di Fine non ha ritenuto di disporre la misura cautelare richiesta dal pool della Procura.
Davanti ad un simile impianto accusatorio, siamo alle solite dichiarazioni precotte e prevedibili a seconda del singolo protagonista della vita politica italiana.



Di Pietro sostiene che «Tangentopoli c’è più di prima, con l’aggravante che prima i reati potevano essere scoperti, ora é più difficile perché quando ci si riesce la prima cosa che viene detta è che si tratta di un teorema. Per questo ci batteremo dentro e fuori dal Parlamento per dire che finché non si leva il cancro della corruzione non avremo un Paese sereno. Se l’economia non va, se c’è disparità, è perché la giustizia ad alcuni si applica e ad altri no, è per la mala amministrazione della cosa pubblica e la massiva e trasversale attività corruttiva a tutti i livelli, coperta da un bipolarismo di facciata e da un consociativismo di fondo».
Sul versante opposto, Berlusconi si dice sorpreso per «Una cosa molto strana: la decapitazione completa, quasi una retata, di un intero governo di una regione. Ho sentito anche il teorema accusatorio, conoscendo l’attuale sistema dell’accusa in Italia….Non ha nessuna importanza per me se venga colpito questo o quest’altro. È
comunque necessaria una riforma totale del sistema giudiziario italiano. Non penso solo alla separazione delle carriere, credo che si debba fare di più, molto di più».
Walter Veltroni invece, nella sua patetica ma anche apprezzabile capacità di adattarsi ad ogni situazione senza scontentare nessuno, non può fare altro che esprimere «Stupore e amarezza» oltre che «vicinanza umana» al presidente della Regione Abruzzo, auspicando che «sappia dimostrare la sua totale estraneità ai fatti che gli vengono contestati». Ovviamente, per poter mantenere l’equilibrio e cadere sempre in piedi non può mancare la «piena fiducia nella magistratura affinché faccia piena luce nel più breve tempo possibile».

Ora, dichiarazioni dei politici a parte, gradirei esprimere un giudizio personale sulla faccenda che possa essere condiviso o meno dai nostri lettori.
Non sono così ingenuo da aspettarmi un Paese che non esiste, ed al contempo non mi piacciono gli estremismi che circolano ai nostri giorni su ambo i fronti.
Non possono esistere solo “santi” o “vittime” come ci vogliono far credere i garantisti più estremi, o solo “ladri” e “disonesti” come sostengono Di Pietro e company. Credo (e spero) che possano esistere ancora persone di buon senso che mettano un briciolo di etica nel lavoro che fanno, da qualunque parte della barricata si trovino.
È umano che l’amministratore della cosa pubblica possa favorire un amico rispetto ad uno sconosciuto, sempre che tutto ciò rientri nei binari del consentito, che non vengano falsate le procedure richieste dalla legge e non venga pregiudicato il servizio che poi va fornito al cittadino che ne fruisce. Non è invece corretto che nell’ambito di assegnazioni di appalti pubblici possano restare nelle mani di un dipendente pubblico addirittura quasi cinque milioni di euro illecitamente concussi.
Se nel primo caso sarebbe un eccessivo accanimento procedere giudiziariamente, nel secondo sarebbe sacrosanto. O forse “la certezza della pena” tanto reclamata per albanesi e romeni vale un po’ meno se si tratta di personaggi che occupano scranni importanti?
Ma va notato che è certamente inutile ed inopportuno il risalto che molti media danno alle fasi preliminari relative agli avvisi di garanzia (pagine e pagine, senza ovviamente lesinare sui racconti minuziosi dei retroscena più succulenti e personali), quando invece alle notizie che contano (le decisioni finali della giustizia) vengano riservate poche righe sui giornali o pochi secondi in tivù.
La messa alla gogna è sempre a caratteri cubitali. L’eventuale riabilitazione (i molti inquisiti poi assolti) non è nemmeno concessa.

Ed anche i pubblici ministeri dovrebbero recuperare un minimo senso della misura: vanno bene le indagini e gli strumenti atti a ristabilire la legalità; a mio modo di vedere vanno bene anche le intercettazioni (male non fare, paura non avere: mi intercettino pure, al massimo ci trovano qualche insulto per il collega antipatico); ma non può andare bene il pm che passa via mail gli atti all’amico giornalista prima che all’indagato, non va bene il pm che per smania di visibilità fa overdose di conferenze stampa e “sbatte dentro” a prescindere senza verificare più che attentamente quel che sta facendo nei confronti di una persona umana, che vive tra gli affetti di una famiglia, che ha un posto in un sistema sociale in cui tutti abbiamo la nostra parte.

Concludendo: politici, pubblici amministratori, imprenditori, giornalisti, pubblici ministeri… forse è il caso che ci si prenda tutti una bella pausa di riflessione e ci si chieda per bene cosa sta al centro delle nostre azioni.
Una vera giustizia? Un reale rispetto della centralità della persona umana? L’amore per il Vero?
O la sete di potere, la brama di fare molti soldi in poco tempo, la voglia di specchiarsi al mattino provando piacere per quanto siamo stati bravi nel raggiungere il nostro obiettivo in modo cinico e spregiudicato?
Molti mi daranno del patetico, ma credo che dal momento in cui la nostra società occidentale abbia deciso di considerare Gesù Cristo come una questione di fede privata da sollecitare in caso di malattie o sfighe varie o un bel nome da mettersi in bocca all’occorrenza per fare bella figura, e non più l’unico criterio centrale attorno al quale debbano riferirsi tutte le nostre azioni, non resta che una sola tipologia di valutazione relativistica delle cose: non più “La” verità, ma la “mia” verità.
Ed allora, con l’animo sereno ed il cuore in pace, tutti possono avere ragione: concusso e concussore, forcaiolo e garantista, Di Pietro e Berlusconi.