Il dibattito sulla legge elettorale aveva già animato parte della campagna per le scorse politiche. Oggi, torna la polemica sul sistema di voto, in una dimensione interna ed una esterna.
La dimensione esterna coinvolge da vicino la questione – un po’ stantia ormai – del dialogo tra maggioranza e opposizione. Il dado è tratto e le prospettive di convergenza sul tema delle riforme istituzionali sembrano accantonate. A meno che…
A meno che non si parta dall’unica piattaforma possibile, ovvero proprio la legge elettorale. Alcuni punti sono ormai scontati: il bipolarismo bastardo degli scorsi anni ha fallito. La legge elettorale con la quale si è votato ad aprile è una “mezza porcata”, poiché consente il privilegio della nomina dall’alto ai più fortunati, ma, visti i numeri dell’attuale maggioranza, ha comunque dimostrato che con i voti si governa. Il sistema elettorale è uno strumento, non un fine. E quando l’elettorato si schiera compatto per una formazione politica non c’è meccanismo di premio o disincentivo che tenga. Detto ciò, essa ha comunque creato una circostanza di ambiguità, di bipolarismo imperfetto che non soddisfa nessuno. Almeno nel centrosinistra, dove le alleanze sono state sbagliate – sciagurata la scelta di allearsi con Di Pietro – e le correnti si dibattono tra la voglia di allargarsi a sinistra o a destra, verso l’UDC, come vuole Rutelli o verso i comunisti – che nel frattempo avrebbero fatto un bel bagno di umiltà -.
Si allarga, trasversalmente, il fronte dei proporzionalisti, di coloro che vorrebbero importare in Italia il modello tedesco di una legge elettorale proporzionale con sbarramento. Uno strumento che garantirebbe sicuramente la governabilità, meno probabilmente la stabilità, ma certamente una rappresentanza più diretta del voto popolare. Come ha ribadito D’Alema, quella legge potrebbe condurre necessariamente a prospettive di coalizioni allargate, proprio come in Germania. E per D’Alema ciò non avrebbe nulla di scandaloso. Gli ulivisti protestano, parlando di fine del sogno bipolare o, addirittura, bipartitico. Di fatto è così, ma con pochi rimpianti, visti i risultati di questi anni.
La partita vera, soprattutto nel centrosinistra, si gioca adesso sullo sbarramento, che condizionerà soprattutto le prossime consultazioni europee nel 2009. Lo sbarramento al 3 o al 5% non è questione da poco: essa può spostare l’ago delle alleanze possibili, non preferite. Se la sinistra radicale sarà nuovamente marginalizzata dall’arco parlamentare, allora gioco forza si dovranno cercare altri riferimenti politici. Ed è facile capire le implicazioni rispetto alla collocazione europea del Pd.
Dibattito aperto, quindi. Ma per presentare una proposta alla maggioranza, il Pd deve trovare innanzitutto la sua quadratura del cerchio. Si accettano scommesse.