La calura estiva ha riacceso il dibattito sulla legge elettorale, tema ormai fuori dai palinsesti televisivi da alcuni mesi. L’occasione è venuta da un convegno organizzato lunedì scorso dalla Fondazione Italianieuropei, i cui principali interventi sono stati ripresi anche dal quotidiano Il Riformista. Al di là dello svolgimento dei lavori, articolati sulla falsariga dei think tank americani, la litania rimane pur sempre quella dei “modelli” da importare: spagnolo corretto, francese puro, tedesco emendato e via di seguito. In particolare, sembra tornato in auge il famigerato “modello tedesco”. Ma lo stesso D’Alema, quando ha invitato a riconsiderare l’archetipo d’Oltralpe, non si è soffermato a spiegare che cosa intendeva esattamente. In effetti, parlare, come fa lui, di sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5% non significa affatto discutere di modello tedesco, ma soltanto mostrarne sommariamente l’ossatura. In realtà il sistema è ben più complesso.  



Quando in Germania ci si reca alle urne per eleggere i propri rappresentanti alla Camera bassa (Bundestag), si ha a disposizione un’unica scheda, divisa in due parti, su un lato della quale è possibile esprimere la preferenza per il candidato del proprio collegio uninonimale, mentre sull’altro si appone una croce sul simbolo della lista prescelta. Dei 598 deputati fissati dalla legge, 299 vengono direttamente eletti attraverso il primo voto (Erste Stimme), mentre gli altri 299 tramite il secondo (Zweite Stimme). Per la ripartizione dei seggi si guarderà alla somma dei voti (di lista) effettivamente ricevuti dai vari partiti nelle diverse regioni, ma a tal fine non verranno conteggiati i suffragi ricevuti da quelle liste che non abbiano raggiunto almeno il 5%. In questo modo, grazie al voto di lista si determina il numero dei deputati che siederà effettivamente in Parlamento.



Oltre allo sbarramento, v’è poi un altro meccanismo di correzione, ossia il cosiddetto Überhangmandat, o mandato in sovranumero. Non è infatti raro che tra primo e secondo voto si verifichi una palese discrasia, tale per cui, in una stessa regione, il numero di vincitori dei collegi uninonimali facenti capo ad uno stesso partito superi il numero di deputati che sarebbero spettati al medesimo partito in base al voto di lista. Ad esempio: in Assia vengono di norma eletti 110 deputati, 55 con il primo voto, 55 con il secondo. Potrebbe capitare che la CDU (il partito cristiano-democratico) ottenga 22 deputati grazie alla erste Stimme, ma solo 20 con la zweite. Questo evidentemente a causa di un voto disgiunto da parte degli elettori. Ebbene, in tal caso i deputati in sovranumero (rispetto alla ripartizione già effettuata attraverso il voto di lista) saranno due. La legge, così come finora congegnata, ha sempre riconosciuto a costoro il diritto di entrare comunque in Parlamento. La conseguenza, naturalmente, sarà quella di ingrossarne le fila, giacché a ciascun deputato in sovranumero corrisponde inevitabilmente un seggio in più rispetto ai 598 originariamente previsti. L’effetto risulta comunque ancora più paradossale, se si pensa che a causa di complicate alchimie aritmetiche è addirittura possibile che, ottenendo meno consensi in base al voto di lista, si ottenga un seggio in più tramite il mandato diretto. È accaduto a Dresda nel 2005, quando la CDU ottenne 38.000 suffragi con il voto di lista e si aggiudicò il deputato in sovranumero. Peccato che se ne avesse ricevuti più di 41.000 l‘avrebbe perso…



Per questa ragione la Corte Costituzionale di Karlsruhe ha provveduto, qualche settimana fa, a dichiarare incostituzionali tali norme e a disporre la revisione della legge in sede parlamentare. A tali difficoltà di ordine tecnico si aggiunge poi anche un problema di ordine politico. Il sistema elettorale tedesco ha garantito sinora stabilità, giacché le coalizioni tradizionali sono sempre state sostanzialmente le stesse: verdi e socialdemocratici da una parte, democristiani e liberali dall’altra. Ora che la Linke, il partito di estrema sinistra nato dalle ceneri della DDR, pare voler puntare ad un 12% a livello federale, il sistema potrebbe inopinatamente implodere, dal momento che le due coalizioni non sarebbero più in grado di raccogliere la maggioranza assoluta. Insomma, di qui in avanti dovremo sempre più abituarci ad alleanze inusitate e a compromessi storici che tutto serviranno fuorché a dare solidità e compattezza al potere legislativo.

Alla luce di quanto detto, pare quindi impossibile che ci sia ancora qualcuno intenzionato a recepire in toto una disciplina elettorale, la cui estrema complessità e controintuitività consiglierebbe al contrario di restarne prudentemente alla larga.