Il federalismo fiscale si baserà sul “modello Calderoli”. È lo stesso ministro per la Semplificazione a battezzare così la proposta di riforma illustrata alla Conferenza unificata Stato-Regioni. Un modello che Calderoli chiama appunto col suo nome, ricordando che «è stato valutato il modello lombardo», ed è stato preso come «valida guida» il documento approvato all’unanimità dalle Regioni nel 2007, proprio perché si è raggiunta l’unanimità «su una materia molto complessa che vede coinvolte le regioni più ricche quelle più povere d’Europa». D’accordo anche l’opposizione: «Con Chiamparino ho avuto lunghe chiacchierate – ha spiegato – e devo dire che tutto quello che ha detto nel suo intervento di ieri è reperibile nella nostra proposta».
E sembra nascere un vero e proprio dialogo tra Lega e Pd sul federalismo fiscale. L’incontro tra Calderoli e Chiamparino è stato giudicato positivamente da entrambi i protagonisti. Il sindaco di Torino ha apprezzato, oltre al gesto di attenzione, il fatto che la proposta illustratagli abbia abbandonato il cosiddetto modello Lombardo, cioé quello per cui l’85% dei tributi Irpef dovrebbero rimanere nelle regioni dove vengono prodotti. Dal suo canto, Calderoli ha ricevuto la buona notizia che il Pd sul federalismo fiscale non scherza, tanto è vero che mercoledì ha messo al lavoro un gruppo di venti persone che entro fine luglio redigerà la sua proposta ufficiale.
Il ministro del Carroccio ha incassato anche il giudizio positivo di altri esponenti del Pd, che guidano regioni importanti, come Mercedes Bresso o Vasco Errani.
Roberto Calderoli, parlando con i cronisti al termine della riunione, non ha voluto entrare nei dettagli della riforma, il cui testo è stato inviato ieri dallo stesso ministro ai colleghi Tremonti, Bossi e Fitto, ma ne ha spiegato la filosofia ispiratrice: «Dimentichiamoci la “spesa storica”», ovvero il calcolo dei trasferimenti dello Stato alle Regioni e agli enti locali sulla base di quanto speso negli anni precedenti, «e ragioniamo sui costi standard dei servizi erogati».
Dunque «bisogna chiudere con la finanza derivata, utilizzare i costi standard e non la spesa storica, e arrivare a una vera autonomia delle Regioni e degli enti, con perequazione rispetto ai costi standard e perequazione fiscale rispetto alla capacità contributiva delle regioni». Si devono quindi «calcolare i costi per i servizi erogati dai vari soggetti, e in base a questi si dà la possibilità agli enti di entrate proprie e in compartecipazione per coprirli».
Nelle Regioni dove la capacità contributiva non basta a coprire i costi standard, «ci sarà un fondo perequativo». Inoltre «ciascuno avrà un “paniere” fiscale flessibile e territoriale, e ognuno sceglierà ad esempio se per certe imposte alcune categorie, o magari tutti i cittadini, sono esenti». Per arrivare a fissare i costi standard ci sarà ancora bisogno di lavorare, e Calderoli pensa ad una «cabina regia con tutti i livelli istituzionali». L’importante è che si fissi il principio che «se una macchina fa 10 km con un litro, tutti dovranno fare 10 km con un litro. Magari non da subito, ma si deve arrivare a quello». Altrettanto importante, per il ministro leghista, arrivare al «collegamento tra centro di entrata e centro di spesa: finora non c’è stato e questo ha deresponsabilizzato gli amministratori». Bisogna poi arrivare ad una «maggiore corrispondenza tra il tributo e il servizio erogato».
Quanto ai tempi di approvazione del provvedimento, il ministro ha ricordato che «abbiamo avuto accolto dal Consiglio dei Ministri che il federalismo fiscale e il codice delle autonomie siano collegati alla Finanziaria e quindi è obbligo esaminarli e approvarli, o bocciarli se le Camere decideranno così, entro la fine dell’anno». Dunque il federalismo fiscale sarà esaminato dal Cdm «a settembre». Per Calderoli «è ineludibile» arrivare al federalismo fiscale, soprattutto guardando alle «trattative per i trasferimenti» in corso anche quest’anno tra enti locali e regioni: «Se non facciamo la riforma, ogni anno lo scontro sarà sempre più duro».