Outsourcing. Una parola poco compresa da molti italiani e troppo declamata da facili modaioli amministrativi. È questa una delle frontiere principali per l’affermazione di una vera sussidiarietà. Poiché non si tratta di un processo necessariamente operante nel territorio e in molti casi legato ad amministrazioni e strutture che pendono nel castello kafkiano dell’amministrazione pubblica italiana, in questo caso, piuttosto che di sussidiarietà orizzontale, parlerei di sussidiarietà laterale. Esternalizzare significa infatti collocare a lato e al di fuori di tanti enti e amministrazioni pubbliche, le molte funzioni che non appartengono al loro core business e che possono essere esercitate a costi minori e con qualità ed efficacia maggiori, da parte di soggetti privati.
Sulla base degli annunci iniziali, sembrava che la manovra amministrativa condotta dal ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta tramite i disegni di legge e il decreto del 18 giugno scorso, dovesse ricomprendere incentivi ed accelerazione degli sparuti processi di esternalizzazione in atto nel corpaccione del nostro settore pubblico. Forse bisognerà però attendere un’altra puntata, perché è da supporre che i sindacati – padroncini della funzione pubblica – scatenino un fuoco di sbarramento, in quanto, tanto miopi quanto poco presbiti, hanno sempre visto le esternalizzazioni come il fumo negli occhi.
Eppure in un mio libro recente (Chi è Stato?, Rubbettino) Antonio Catricalà, che è uno dei pochi servitori dello Stato che se ne intendono di settore privato e – come oggi è palese a tutti, essendo lui il Garante del mercato – anche di concorrenza, ricorda la sua fatica di Sisifo quando era Segretario generale di Palazzo Chigi. Nella consapevolezza che le attività di automantenimento, quello che viene definito il back office, pesano nel settore pubblico mediamente per il 35-40% (a fronte di un 15-20% nelle imprese private), aveva varato, fino alla aggiudicazione conclusiva dell’asta pubblica, un progetto di esternalizzazione nel corpaccione amministrativo della Presidenza del Consiglio. Non si sa come e perché, ma il progetto si è poi di fatto bloccato.
A questo punto la questione è semplice. Se, soprattutto negli ultimi trent’anni, le aziende private non si fossero concentrate nel core business, procedendo ad esternalizzazioni di tante funzioni non indispensabili, in buona parte sarebbero fallite.
Ora, può sopravvivere un’amministrazione pubblica le cui attività, invece di essere finalizzate ad erogare servizi ai cittadini e agli operatori, sono per il 40% obbligate all’automantenimento? È questo lo spazio in cui necessariamente si dovranno inserire, superando i veto-player sindacali e le visioni vetuste e corporative di molti dirigenti pubblici, le esternalizzazioni.
La società italiana brulica di aziende, cooperative, soggetti di volontariato pronti in molti settori ad assumersi in proprio, a costi minori e con servizi migliori, varie tipologie delle attività di automantenimento e di altro genere di attività che non rientrano nel core business di enti e amministrazioni pubbliche.
Far dimagrire lo Stato e mettere a dieta i soggetti pubblici è l’unica via per liberare le tante energie, oppresse oggi dal moloch burocratico, della società italiana.