Più di un anno e mezzo fa il presidente serbo Boris Tadic, in visita in Italia, aveva assicurato il massimo impegno per la cattura dei criminali di guerra la cui latitanza blocca il cammino di avvicinamento di Belgrado all’Ue. Tadic, aveva anche proposto “una clausola condizionale” relativa proprio alla cooperazione con il Tribunale dell’Aja da inserire nei negoziati per l’associazione della Serbia alla Ue e alla Partnership for Peace con la Nato. Dopo la risposta “soft” alla proclamazione di indipendenza del Kosovo e la consegna di Milosevic ai giudici dell’Aja, la cattura di Karadzic rappresenta un passo in più nel processo di avvicinamento di Belgrado all’Ue.
Radovan Karadzic, presidente della Repubblica Serba in seguito al riconoscimento della Bosnia Erzegovina come Stato indipendente e sovrano da parte dell’ONU nel ’92, era al primo posto nella lista dei ricercati del Tribunale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia. Nella guerra che durò dal 1992 al 1995, con 200mila morti in totale, Karadzic, assumendo anche il ruolo di comandante in capo dell’esercito con il potere di nomina e revoca degli ufficiali, si rese infatti colpevole di operazioni di pulizia etnica contro le popolazioni bosniache e croate.
Il suo nome è legato in particolare al massacro di Srebrenica, con l’uccisione di circa 8mila civili, tra i 12 e i 77 anni, massacrati in pochi giorni. Un’operazione che la Corte internazionale di giustizia ha definito «genocidio».
L’arresto di Karadzic, latitante dal 1995, dimostra l’impegno del nuovo governo di Belgrado a contribuire alla pace e alla stabilità nella regione dei Balcani. Esso costituisce una tappa importante sulla via dell’avvicinamento della Serbia all’Ue, la quale incoraggia il governo serbo a proseguire su questa strada al fine di accelerare il suo progresso sulla via dell’avvicinamento all’Ue, compreso lo Statuto di candidato, non appena tutte le condizioni necessarie saranno soddisfatte.
Ed è proprio da questa piena collaborazione con il Tribunale dell’Aja, intesa come precondizione stabilita da Bruxelles per l’avvio del processo di adesione all’Unione europea della Serbia, che si deve partire per analizzare il ruolo dell’UE in Serbia e più in generale nei Balcani. «I Balcani producono più storia di quanta riescono a consumare». Winston Churchill fotografava così le vicende storiche di questa affascinante e inquieta regione che ha continuato a produrre molta storia, sia ai tempi del premier inglese sia negli ultimi quindici anni. I Balcani sono una regione in cui l’Europa può fare la differenza e in cui la prospettiva dell’adesione agisce come una vera e propria forza motrice per le riforme economiche e politiche. Dobbiamo identificare nella prospettiva europea la reale forza motrice del processo di transizione verso la democrazia e l’economia di mercato dei Paesi del sud-ovest europeo. La questione dei Balcani occidentali è una sfida particolare per l’Unione europea. La regione raggruppa piccoli Paesi che si trovano a differenti livelli nel percorso per diventare membri dell’Ue.
Di conseguenza, la politica di allargamento ha bisogno di avvicinarsi ai bisogni specifici di questi Stati deboli e di queste società divise. I capisaldi della strategia europea per integrare la popolazione dei Balcani risiedono nel commercio, nello sviluppo economico, nella mobilità dei giovani, nell’educazione e nella ricerca, nella cooperazione regionale e nel dialogo all’interno della società civile. Se interrompiamo l’allargamento ai Balcani o ne ostacoliamo le naturali conseguenze, questo, non salverà certo le sorti dell’economia europea. Dopo aver vissuto il più grande allargamento della sua storia, l’Ue deve mantenere fra le sue priorità il processo di stabilizzazione e di associazione con i Balcani. Se i Serbi della Bosnia dovessero perdere di vista la concreta possibilità di poter «stare da Serbi» in Europa, non avrebbero certo remore a riprendere la strada della secessione,facendo piombare l’intero continente in una grave crisi. L’Europa ha fatto delle promesse che, per quanto forzate o premature, non può disattendere. Solo tenendo aperta la porta verso i Balcani e passando dall’era degli Accordi di Dayton all’era degli Accordi di Bruxelles, l’Europa potrà mantenere fede al suo originario, vincente, programma politico «mai più la guerra» e dare una speranza di pace al continente. Senza i Balcani occidentali, l’unificazione europea non è completa. L’obiettivo è l’adesione, ma sarà un lungo percorso pieno di ostacoli. Ed è in questo senso che è necessario inquadrare come un grande risultato il forte segnale del governo serbo filo europeista del presidente Tadic, che dimostra di voler continuare a grandi passi il processo di avvicinamento all’UE. L’Unione europea dovrà a sua volta dare un segnale positivo alla Serbia ratificando gli Accordi di stabilizzazione e di associazione (Asa). Il passo successivo sarà pensare poi ad autorizzare Belgrado a presentare una domanda di adesione.