Tra i 34 punti della Riforma Brunetta, ce ne sono alcuni finalizzati a rilanciare la Pubblica Amministrazione come fattore di sviluppo per tutto il Paese. Tra questi:
- il Piano Casa, pensato per superare il disagio sociale derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa, che dovrebbe vedere la luce ad ottobre e a cui contribuirà la dismissione degli alloggi pubblici ex IACP, ma sul quale si attende anche l’immissione di capitali privati
- la possibilità di cedere l’esercizio temporaneo di funzioni ad altri soggetti pubblici o privati e di favorire un uso ottimale degli edifici pubblici permettendo lo svolgimento di attività diverse da quelle istituzionali
- la diffusione on-line delle buone prassi, dei tempi medi di pagamento e di erogazione dei servizi, insieme a una riorganizzazione funzionale del Centro nazionale per l’informatica nella PA (CNIPA), del Formez e della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione
- il riutilizzo dei fondi non impegnati per il finanziamento di progetti di sviluppo di reti wireless e per favorire la creazione di impresa da parte di giovani ricercatori in settori innovativi
Si tratta di iniziative che rivestono un certo interesse e che dovrebbero favorire un’organizzazione più efficace di alcune pubbliche amministrazioni, anche se mancano di coerenza e sistematicità. Stride purtroppo il contrasto tra l’ampiezza dell’obiettivo dichiarato (lo sviluppo del Paese) e la portata degli interventi previsti, che sono una netta minoranza dei provvedimenti messi in campo dal governo.
C’è però una delle misure proposte da Brunetta e recepite nel decreto legge che presenta davvero un potenziale innovativo: la possibilità per le Università di trasformarsi in Fondazioni. Ovviamente non basterà questo a risolvere d’un tratto tutti i problemi del sistema universitario italiano, che in molti casi faticherà a trovare investitori privati e che dovrà invece affrontare i tagli contenuti nella manovra finanziaria. Eppure, si tratta di una svolta culturale importante. Infatti, dare la possibilità alle Università di diventare Fondazioni significa riconoscere l’esistenza di un’autonomia funzionale delle membra della PA: una parte della pubblica amministrazione potrà entrare in contatto col privato per finanziare percorsi educativi. In un Paese che, non solo in campo educativo, ha fatto dell’equazione “pubblico=statale” il suo marchio di riconoscimento e la principale causa di inefficienza del sistema, si tratta di una novità da non sottovalutare.
È importante, inoltre, che questo cambiamento parta proprio dall’Università, perché la formazione terziaria è davvero il nodo decisivo per far ripartire la produttività di tutto il Paese. La creazione delle Fondazioni andrà dunque supportata e accompagnata con decisione: se davvero si riuscisse a cogliere questa opportunità, attirando capitali privati nel sistema, si traccerebbe finalmente la strada maestra per superare quell’emergenza educativa che tutti denunciano e che si aggrava di anno in anno.
Per rilanciare la Pubblica amministrazione, in tutte le sue diverse espressioni, occorre infatti liberare le energie che si trovano al suo interno. Bisogna perciò favorire il contatto della PA con la società reale, senza comprometterne la natura di pubblico servizio, ma rivedendone in profondità le modalità di funzionamento e gestione. Finché non si avrà questo coraggio, gli interventi, anche duri, di repressione e contenimento non raggiungeranno i risultati auspicati. Speriamo che la creazione delle Fondazioni Universitarie sia solo il primo di una serie di interventi di ampio respiro e scateni un positivo “effetto domino”.
(3. fine)