Ministro Brunetta, cosa risponde a chi considera alcune delle sue proposte (soprattutto l’ultima circolare sulla visita medica fiscale già dal primo giorno di malattia) come troppo centrate sulla logica che la Pubblica amministrazione è fatta solo di “fannulloni”?

Chi è malato non ha problemi di visita fiscale, né di allargamento dell’orario in cui la visita fiscale può essere fatta. Chi voleva fare il furbo, poteva contare sul fatto che non ci sono medici che fanno visite fiscali, oppure che le visite avvenivano in un orario ristretto. Le lamentele stanno a significare che evidentemente i furbi si stanno preoccupando. Sono loro che voglio combattere, mentre voglio premiare chi lavora bene e gli onesti. Chi ha la coscienza a posto non ha nulla da temere. E pertanto più sono le proteste di poche frange di furbi più sono contento perché la stragrande maggioranza di dipendenti pubblici è dalla mia parte.



Come prevede che sarà il rapporto con i sindacati, nel tentativo di portare a termine la riforma che ha in mente? Troverà un muro o già intravede opportunità di dialogo?

Primo: la riforma non può passare per il confronto con il sindacato dei fannulloni. Secondo: il sindacato non può pensare di alzare troppo la voce, se pensa per un attimo a quello che succede nel settore privato. Sarebbe un po’ difficile spiegare ai metalmeccanici, agli edili, ai chimici, che si fa uno sciopero generale del pubblico impiego perché i soldi per il rinnovo del contratto non sono sufficienti, quando probabilmente i dipendenti privati non avranno neanche il rinnovo del contratto.



Se si vuole aumentare la produttività della Pa, favorendo la convergenza del mercato del lavoro pubblico con quello privato, perché si punta ancora sui concorsi, sia pure su base territoriale, anziché sui contratti di lavoro flessibile?

C’è molta ipocrisia. Per legge e per Costituzione nel pubblico impiego si entra solo per concorso. In realtà il 60% o 70% degli assunti – a seconda dei settori – è entrato nella Pa senza concorso: per sanatorie, ope legis, stabilizzazioni, e via dicendo. È un tema rilevante, questo del concorso, che riguarda la privatizzazione vera della Pa e su questo occorre lavorare ancora un po’. Al momento ho introdotto, nel ddl che accompagna la manovra di stabilizzazione, la norma sui concorsi su base regionale e già questo dovrebbe evitare inutili e dannose mobilità, che finiscono per produrre posti di lavoro vacanti al Nord e eccedenze al Sud.



Una delle più recenti promesse di riforma della pubblica amministrazione è stata fortemente legata all’investimento in nuove tecnologie ICT. La tecnologia da sola senza cambiamento organizzativo può produrre risultati? Quale è il suo parere?

Sono due facce della stessa medaglia. Il cambiamento organizzativo è previsto dal disegno di legge delega: organizzativo, incentivi, premialità. Tutto questo nella riforma va di pari passo con l’innovazione, con le reti, con la concorrenza fatta da altre reti nei confronti del monopolio della pubblica amministrazione.

L’autoreferenzialità è forse il maggior difetto del sistema pubblico italiano. Come aprirla a una collaborazione con la società e con le forze che operano al suo interno, in uno spirito di vera sussidiarietà?

Sto introducendo la class action nel settore pubblico. È un modo di dialogare del cliente finale nei confronti della Pa, che fa leva su un criterio che mi pare legittimo: la soddisfazione del cliente finale. Se il cliente non è soddisfatto, ha in mano lo strumento per contrastare e sanzionare la Pa che non offre beni e servizi di qualità. Finora l’utente finale non aveva alcuno strumento; era solo il cittadino-elettore a giudicare. Da gennaio in poi a farlo sarà anche il cittadino-consumatore.

Nel diffuso clima di antipolitica la riforma della Pa rischia di diventare una guerra di religione. Come arrivare a interventi condivisi, che migliorino il sistema senza deresponsabilizzare chi lavora al suo interno e senza logorare il tessuto sociale?

In questo momento c’è una Pa inefficiente, che è una palla al piede per l’economia ma soprattutto è un elemento negativo nei confronti delle classi più povere e dei ceti più deboli. Questo sistema di privilegi, per essere scalzato, non necessita di condivisione, ma di conflitto. Bisogna far sì che i cittadini e il datore di lavoro facciano sentire la loro voce e che i fannulloni siano colpiti. Siccome stiamo parlando di una minoranza, mente la maggioranza dei dipendenti pubblici è gente per bene che lavora, io voglio parlare a chi lavora, e con loro isolare i furbacchioni.

Foto: Imagoeconomica