Mentre si attende la discussione in aula della mozione per il conflitto di attribuzione, approvata lunedì sera dalla commissione Affari costituzionali del Senato, nonostante le obiezioni mosse dal Pd per voce del costituzionalista Stefano Ceccanti, il dibattito intorno al caso Eluana Englaro si concentra sempre di più sulle problematiche giuridiche legate alla sentenza. Se infatti Ceccanti giudicava impercorribile la via del conflitto di attribuzione, sulla base dell’argomento che un Parlamento «che non legifera su una materia lascia di fatto via libera ai giudici, che devono comunque rispondere a una richiesta di giustizia dei cittadini senza potersi astenere», cresce invece il numero di giuristi e costituzionalisti che critica fortemente, nel merito e nel metodo, la validità e la costituzionalità della sentenza sul caso Eluana.
Ieri c’è stata la presentazione di un appello per fermare questa sentenza che legalizzerebbe di fatto l’eutanasia «vietata dal nostro ordinamento». Firmatari dell’appello un gruppo di giuristi, tra i quali i presidenti emeriti della Corte costituzionale Antonio Baldassarre (già intervistato da ilsussidiario.net proprio sulla vicenda Eluana), Riccardo Chieppa, Cesare Mirabelli, il presidente dei giuristi cattolici Francesco D’Agostino e Giovanni Giacobbe, preside della Facoltà di Giurisprudenza della Libera Università Maria S.S. Assunta e presidente del Forum delle famiglie.
«Nel nostro ruolo di giuristi riteniamo di dover richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità politiche sulla decisione assunta dalla magistratura di autorizzare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana Englaro; decisione che finisce per consentire una pratica di eutanasia, vietata dal nostro ordinamento, violando principi, da quelli più antichi (curam praetor habuit) a quelli a fondamento del sistema costituzionale, come i diritti inviolabili e la solidarietà, orientata in questo caso alla tutela del bene sommo della vita».
Non c’è, secondo i giuristi firmatari, nessuna «ipotesi di accanimento terapeutico» che possa giustificare un esito così «nefasto e deprecabile», che «viene raggiunto togliendo il sostegno vitale a una persona umana, tuttora vivente, riconosciuta come tale dalla stessa magistratura. Tanto è vero che il comportamento suddetto viene autorizzato sulla base della ricostruzione operata dal giudice, attraverso indici presuntivi, della volontà della Englaro, ove quest’ultima fosse in grado di esprimersi».
«Inoltre – proseguono i giuristi – ciò avviene in rottura con la tradizione giuridica e gli orientamenti giurisprudenziali che riconoscono la figura della rappresentanza solo per l’esercizio di diritti disponibili o per favorire e proteggere situazioni soggettive. Non è concepibile – conclude l’appello – usare un procedimento civile, prefigurato per legge per altre funzioni, per sacrificare irrimediabilmente la vita di una persona che è un bene indisponibile».