Sindaco Chiamparino, le nuove linee guida del federalismo presentate da Calderoli hanno rappresentato una svolta? Si è passati dallo scontro sul modello lombardo a una soluzione verso la quale il Pd si mostra disposto al confronto.
Prendo atto del fatto che i ministri Calderoli e Bossi hanno messo da parte il modello lombardo, inteso come la proposta della legge approvata dal Consiglio regionale lombardo, che partiva col dire quanti soldi una Regione poteva tenersi, prima di dare il resto agli altri, per passare a un modello che si ispira al documento approvato in Conferenza Stato-Regioni nel 2007: stabiliamo quali sono i servizi che devono essere erogati a tutti e quali sono i costi standard di questi servizi, e su questa base garantiamo la perequazione. È un cambiamento a 180 gradi che non può che vedermi favorevole.
Questo nuovo federalismo – di cui al momento non conosciamo il testo, ma solo le linee illustrate da Calderoli – potrà andar bene per tutte le regioni?
Partiamo dal fatto che un meccanismo federale serve a governare delle differenze esistenti. Storicamente gli stati federali sono nati perché un insieme di Stati o Regioni hanno deciso di mettersi insieme perché farlo era per tutti più conveniente che non fare ognuno per conto proprio. Una buona legge federale dovrebbe permettere di tenere insieme due meccanismi: solidarietà e responsabilità. Cioè stabilito il vincolo della responsabilità finanziaria tutti hanno diritto ad avere determinati servizi, sanità, istruzione e assistenza, si potrebbe discutere anche di trasporto pubblico. Non è pensabile che un pasto per un anziano costi “x” in una regione e “x+n” in un’altra. Posto questo, si lascia poi alle Regioni di trovare le soluzioni per gestire in proprio, se sono brave, le risorse a disposizione. Un meccanismo che riesca a intrecciare solidarietà con responsabilità e competitività.
Il Pd ha annunciato una proposta per settembre. Quali i punti salenti?
Definire quali sono i livelli essenziali dei servizi di cittadinanza (poniamo sanità, istruzione, assistenza, trasporto pubblico) poi quali sono i livelli essenziali – sottolineo essenziali, non minimi – cui tutti devono poter accedere. Perché a nessuno deve sfuggire che i livelli essenziali di questi servizi non sono ovunque garantiti a tutti. Poi un’analisi di benchmarking, col compito di definire quali sono i costi medi ai quali i servizi devono essere erogati, e un periodo che consenta alle Regioni con i costi storici più elevati di rientrare. E la certezza che al livello stabilito si garantisce la perequazione completa. Il resto delle risorse fiscali resta alle Regioni, che le possono usare per migliorare le politiche o per richiedere nuove competenze.
Secondo quanto prevede attualmente l’articolo 116 della Costituzione?
Sì. Da questo punto di vista il modello del federalismo differenziato non è solo lombardo. Proprio l’altro giorno il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato una proposta per avere ulteriori funzioni da esercitare. Come ben sappiamo, lo prevede l’articolo 116 della Costituzione al terzo comma, dove è previsto che le Regioni possano chiedere al Parlamento di avere più poteri. Poi si tratta di mettere a punto i meccanismi fiscali. È la parte più tecnica, anche se in linea generale è semplice: una parte di tributi propri e una parte di compartecipazione. Questa non può che essere compartecipazione alle imposte Iva o Irpef. Per quanto riguarda i tributi propri, come ha riconosciuto anche Calderoli, se la maggioranza non avesse tolto l’Ici sarebbe stato meglio.
Quale soluzione per i tributi propri?
L’Ici era la prima imposta federalista. In tutta Europa il tributo proprio dell’autonomia comunale è l’Ici (o un’imposta simile, che si basa sullo stesso concetto). Non si può certo pensare che i Comuni tornino alla finanza derivata degli anni ’60-’70. Per i tributi propri bisogna tornare al patrimonio immobiliare e alle imposte di scopo, definendo a livello regionale gli ambiti nei quali i comuni possono applicarle.
Federalismo e politica. Per il Pd, la proposta della Lega è una base sulla quale si può discutere. Ci sono prove di alleanze in vista?
È chiaro che il federalismo per sua definizione favorirà un’articolazione più ampia di posizioni politiche più aderenti alle realtà territoriali, e fatalmente questo, col tempo, potrà portare ad alleanze a geometria variabile. Non è detto che queste poi si facciano, ma certamente il federalismo ne può creare facilmente i presupposti.