La card Alimentare di cui si è parlato in queste settimane dovrebbe consistere in un trasferimento di 400 euro spendibile per generi alimentari e in sconti per le bollette. Qual è il suo giudizio su questo tipo di approccio al problema della povertà?
Prima ancora delle soluzioni prospettate, il fatto stesso che un ente pubblico ponga l’attenzione su un problema come quello della povertà è da considerare una benedizione, ed è già di per sé un fatto rilevante. A questo va aggiuto il fatto che qualunque strumento venga preso in considerazione per rispondere a un bisogno non va giudicato ideologicamente, ma per la sua efficacia effettiva. Bisogna chiedersi se quel metodo è quello più desiderabile dai poveri e se è quello che meglio risponde a loro bisogno. Detto questo si può analizzare il caso nello specifico.
In che misura la Card riuscirebbe a rispondere al bisogno dei pensionati che ne usufruiranno?
I 400 di euro di bonus di cui si parla sono sicuramente una cifra residuale che non risolve i problemi di una persona; sappiamo invece quanto una cifra del genere può essere utile se data a un ente sociale. Se vogliamo operare con maggiore possibilità di successo dobbiamo considerare altre risposte più efficaci. Intendiamoci, un aumento delle pensioni potrebbe migliorare le condizioni di vita, almeno da un punto di vista economico, ma se pensiamo di rispondere al bisogno dei più poveri con una card non siamo realisti. Anche perché i pensionati sono quelli con i redditi più bassi, ma la povertà non è solo lì.
Per esempio molte famiglie non arrivano alla fine del mese.
Nei fatti, la scelta di rivolgere solo ai pensionati questo aiuto non considera le tante famiglie che hanno un reddito anche maggiore rispetto a un individuo che percepisce la pensione minima, ma sono in difficoltà anche più grandi rispetto ai pensionati, perché le necessità sono differenti. La modalità con cui si può censire il bisogono non può che passare da chi è più vicino alla persona, cioè dagli enti, le realtà sparse sul territorio.
Quindi una risposta “dal basso” moltiplica le risorse ed è più mirata ed efficace?
L’opera del Banco Alimetare e degli oltre 8000 enti caritativi con cui collabora riesce a moltiplicare il valore del denaro che impiega. Se quei 400 euro venissero dati a un ente che opera sul territorio, anziché una singola persona si potrebbero aiutare diverse persone. E in più, visto che le realtà caritative vivono tutti i giorni le problematiche del territorio in cui operano, oltre a raggiungere un numero maggiore di persone si beneficia chi è realmente in difficoltà. Questo ha un valore anche dal punto di vista economico, perché la carità riesce a mettere in gioco risorse che lo Stato non immagina neanche. Questo senza contare, nel caso del Banco Alimentare, l’opera volta all’ottimizzazione e alla valorizzazione degli sprechi che si verificano nel nostro Paese.
Qual è il valore aggiunto di un tipo di assistenza “sussidiario”, come quello praticato dal Banco Alimentare, legato all’opera degli enti caritativi, rispetto ai trasferimenti statali?
La differenza più grande è legata al fatto che un trasferimento lascia il bisognoso da solo di fronte ai problemi. Al contrario incrementare un sistema virtuoso come quello del Banco Alimentare porta con sé fattori di assoluta novità: innazitutto l’attenzione dell’uomo all’uomo. Il fatto che nel nostro Paese esistano milioni di persone che si preoccupano di altre persone che sono in stato di difficoltà è un patrimonio inestimabile, perché la vera risposta al bisogno risiede proprio nel rapporto tra individui. Spesso i provvedimenti che arrivano dalla politica sono delle idee nate a tavolino che non rispecchiano lo stato delle cose. La forza degli enti è invece quella di partire dall’osservazione della realtà, da un biosgno reale e tangibile. Osservare le criticità e intervenire di conseguenza. Al bisogno di un uomo risponde un uomo, non una cosa. Al bisogno alimentare risponde una persona che oltre a donare cibo condivide un problema, non una carta prepagata. La carità esprime un valore creativo e riesce a mobilitare forze che non potranno mai essere espresse da un trasferimento assistenziale.