Al Csm non spetta «in alcun modo quel vaglio di costituzionalità cui, com’è noto, nel nostro ordinamento sono legittimate altre istituzioni». Poche e semplici parolette, scritte dal presidente Napolitano e lette dal vicepresidente del Csm Nicola Mancino, in apertura del plenum dedicato all’approvazione del parere (negativo) sulla norma detta “salva-premier”. La stessa norma (il cosiddetto “lodo Alfano” che prevede l’immunità delle cinque più alte cariche dello Stato nel corso del loro mandato) per la quale il presidente Napolitano ha dato ieri l’autorizzazione per la discussione alle Camere. Le parole del presidente hanno riportato l’attuale e assai tesa discussione politico-giudiziaria dal piano confuso delle risse tra maggioranza e opposizione a quello più chiaro della corretta interpretazione del rapporto tra poteri e istituzioni. Si tratta, secondo l’editorialista del Corriere della Sera Piero Ostellino, di «ristabilire un principio sacro della democrazia liberale», vale a dire la distinzione tra i poteri. 



Il presidente Napolitano ha dunque espresso un giudizio molto chiaro e netto sul Consiglio superiore della magistratura, ristabilendone ruoli e limiti. Che importanza ha questa presa di posizione? 

La presa di posizione del Presidente della Repubblica è assolutamente ineccepibile, in quanto strettamente legata al dettato costituzionale: la Costituzione non riconosce al Csm un diritto preventivo di costituzionalità sugli atti del Parlamento. Se il Csm si arrogava questo diritto lo faceva in nome della Costituzione materiale, che è altra cosa rispetto alla Costituzione formale; ma nel diritto ciò che conta è la forma, e il rispetto della forma è sostanza. Saltare questo significa cadere nella situazione del principe legibus solutus, cioè al di fuori della legge. In questo caso il principe era il Csm. È dunque il momento di dire che per troppo tempo il Consiglio superiore della magistratura si è arrogato dei diritti che la Costituzione non gli riconosce. 



Questo non è naturalmente solo un discorso giuridico, ma ha anche conseguenze dal punto di vista politico: si parla di un Pd spiazzato da questo intervento di Napolitano, cui si è aggiunto ieri anche il via libera al “lodo Alfano”. È così? La sinistra è messa in difficoltà da queste prese di posizione del presidente della Repubblica?

Sul piano politico l’intervento di Napolitano implica che l’opposizione non ha più la possibilità di utilizzare l’arma della magistratura da impiegare nei confronti di Berlusconi e del suo Governo. In altri termini, la magistratura non è più il grimaldello con il quale sperare di far cadere o comunque di indebolire l’attuale maggioranza, perché con questa presa di posizione del presidente della Repubblica la magistratura perde la prerogativa di intervenire in modo improprio sugli atti del Parlamento, cioè legislativi, e sugli atti del Governo, cioè quelli esecutivi. Questo modo improprio era appunto diventato il grimaldello attraverso il quale l’opposizione cercava di tornare al Governo per via giudiziaria, facendo cadere l’esecutivo grazie ad un’iniziativa della magistratura. Questo è decisamente anomalo e inaccettabile in un paese democratico, e l’intervento del Presidente della Repubblica ha ristabilito un principio sacro per la democrazia liberale. 



Una magistratura utilizzata come grimaldello da una parte politica non è certo un’immagine positiva. Possiamo dire che la magistratura stessa esce fortemente indebolita da tutta questa vicenda?

Io non arriverei a questo giudizio radicale. La magistratura nel suo complesso lavora bene ed è fatta di magistrati responsabili che operano all’interno di un ordinamento giuridico, democratico, liberale. Diciamo piuttosto che è stata messa in minoranza quella frangia di magistrati che pretendeva di poter esercitare un controllo sul Parlamento e sul Governo, prerogativa che per legge la magistratura non ha. In altri termini sono state ridimensionate le ambizioni di potere di una fronda di magistrati che pretendeva di instaurare un “governo delle toghe”. 

Resta però il fatto che la critica che viene mossa a Berlusconi è quella di aver dato ancora una volta la priorità politica alle questione giudiziarie che lo riguardano personalmente. Ha un fondamento questa critica o è pretestuosa? 

Sì, la questione ha un fondamento. Purtroppo a causa delle iniziative della magistratura sono emerse, nei confronti di Berlusconi, accuse che, vere o false che siano, ne condizionano fortemente il comportamento e la sua immagine nei confronti del Paese. È evidente che non sono delle affermazioni pretestuose, ma rispondono a un dato di fatto. Si tratta però di stabilire se questo dato di fatto corrisponde alla realtà oppure no, e di stabilire come, in una situazione di questo genere, si concili il principio di sovranità del popolo, che a grande maggioranza ha eletto Berlusconi al Governo, con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. C’é un conflitto istituzionale di fatto tra il potere esecutivo e quello giudiziario, che va in qualche modo sanato. Però non va circoscritto ai problemi giudiziari di Berlusconi, ma va allargato al problema vero e proprio, che è quello istituzionale. Non è concepibile che in una democrazia liberale vi sia un conflitto permanente tra l’ordine giudiziario e il potere esecutivo e persino legislativo: i soli due poteri che godono della legittimità popolare. È una sorta di anomalia italiana, che deve assolutamente essere risolta.