Le intercettazioni telefoniche (che fanno parte di quelle che in giuridichese si chiamano Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, disciplinate agli artt. 187-193, e soprattutto 266-271 del codice di procedura penale, al sito http://www.perrupato.it/codici/procedura_penale.htm) sono un modo attraverso cui una procura può ottenere informazioni su un reato per cui sta indagando.
L’attività di intercettazione si pone al crocevia tra il diritto costituzionalmente garantito della segretezza delle comunicazioni tra cittadini (Art. 15 Costituzione: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge») e diritto alla sicurezza dei cittadini garantito attraverso l’autorità di polizia e giudiziaria. Per la loro particolarità, in quanto mezzi di indagine molto invadenti, le intercettazioni non dovrebbero essere il modo normale di effettuare le indagini, ma solo una extrema ratio. Per questa ragione il nostro ordinamento ha cercato di regolare le intercettazioni di modo che esse fossero fatte solamente laddove necessario. Ai sensi dell’art. 266 è previsto che si possa intercettare per:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni (quindi per reati molto gravi);
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (anche in questo caso, per reati molto gravi, come la concussione, ipotesi di reato che aveva portato alle intercettazioni all’Udeur alcuni mesi orsono, o la corruzione, ipotesi di reato alla base delle intercettazioni Berlusconi-Saccà);
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope (le intercettazioni consentono di intercettare le reti dello spaccio);
d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive (come sopra: fattispecie pericolosa, per cui è necessario cogliere eventuali rapporti tra chi contrabbanda e chi acquista);
e) delitti di contrabbando (come le due ultime ipotesi appena menzionate);
f) reati di ingiuria, minaccia, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono (come indagare altrimenti su questi reati senza le intercettazioni?).
g) pornografia infantile (per contrastare i pedofili, reato grave).
h) ovviamente i vari reati di criminalità organizzata, terrorismo…, sempre per la gravità, e la particolare utilità di poter intercettare le comunicazioni tra i membri dell’organizzazione.
Ulteriore garanzia affinché le intercettazioni vengano usate solo laddove sia realmente necessario, è data dal modo in cui possono essere disposte: un pubblico ministero può intercettare solo previa autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari (tralasciando il caso di urgenza per cui il PM può disporre un’intercettazione senza previa autorizzazione). Il GIP ha il compito di vigilare sull’attività del pubblico ministero, e garantire che le intercettazioni siano essenziali per l’inchiesta: il PM richiede l’autorizzazione per intercettare al giudice per le indagini preliminari, il quale deve valutare l’esistenza concreta dei presupposti necessari perché l’intercettazione possa essere rilasciata, e autorizzarla con un decreto in cui dev’essere riportata, a pena di nullità, la motivazione per cui ritenga necessario intercettare.
In base all’art. 268 le intercettazioni possono venire ascoltate non solo dai pubblici ministeri, ma anche dai difensori: non è detto, perciò che quando un giornale rilancia il contenuto di un’intercettazione, sia stato un magistrato a darne comunicazione: può anche esserci stata una “fuga” di notizie provocata dagli avvocati. Ad ogni modo è il PM, ex art. 269, che conserva le registrazioni integrali, e le parti, una volta concluso il processo, potranno chiederne a lui la distruzione.
Quello che emerge da tale quadro è una regolamentazione che tende a limitarne l’uso. Tuttavia vi sono alcune lacune. In fatti al processo sono ammesse le sole prove necessarie per la risoluzione della causa: tuttavia si intercetta di tutto, e non solo relativamente alla persona indagata. Nel processo quindi, si usano le sole intercettazioni pertinenti al caso; ma delle altre che ne viene fatto? Andrebbero distrutte. Se ci fosse una legge chiara che lo dicesse, andrebbero distrutte. Invece tutte le parti di intercettazioni secondarie rispetto alle indagini e relative a persone non imputate di un bel niente diventano merce buona per il pettegolezzaio dei giornalisti, e vengono pubblicate. Una legge chiara in materia non c’è, e servirebbe.
Poi, alcune prassi diffuse hanno reso le intercettazioni un mezzo di indagine abusato. Innanzitutto la prassi invalsa tra i GIP di concederne l’uso per ogni indagine ha fatto dilagare il fenomeno intercettazioni: in Italia se ne fanno troppe. A margine di tale considerazione, riemerge come fondamentale la spesso ventilata separazione delle carriere tra PM e GIP.
Le intercettazioni poi, come molti ricordano in questi giorni, hanno un costo alto, eppure i nostri tribunali ne dispongono tantissime: i soldi vanno là, e intanto è triste vedere nel tribunale di Roma carrelli rubati ai supermercati usati per trasportare faldoni di atti per i giudici (si veda un dossier sui disservizi della giustizia di alcuni anni fa dell’Associazione Nazionale Magistrati, http://www.edscuola.com/archivio/interlinea/giustizia.htm).
Ci chiediamo poi se la nostra polizia sappia fare indagini senza ascoltare i cellulari altrui: l’unico modo di indagare è origliare? Woodcock scoprì mediante intercettazioni che in alcuni ambienti milanesi “gira” la cocaina: non costava meno alla procura di Potenza mandare qualcuno in treno a Milano e lasciarlo seduto al tavolino di un bar, così da verificarlo di persona?
Un’ultima parola va ai giornalisti: in questi giorni si è assistito ad un ragionamento comune: “È chiaro che se ho del materiale che scotta per le mani lo pubblico, è il mio mestiere!”, dice il giornalista difendendo la libertà di stampa. L’altro ragionamento comune è: “I personaggi pubblici in fondo si possono intercettare, stanno sulla piazza pubblica”. Contesto queste affermazioni: questa non è libertà di stampa. In tribunale le prove acquisite in maniera illecita o anche solo irregolare non sono utilizzabili; esse tuttavia vengono usate a mezzo stampa. Chiedo, se una persona entra di notte nell’Agenzia dell’entrate, ruba tanti bei modelli Unico2008 e li dà a un amico giornalista, è giusto pubblicare quei dati? Fa una differenza se quei fatti appartengono a un personaggio poco noto o pubblico? Il giorno dopo, sul giornale, in prima pagina, un giornale denuncerà che molte persone dichiarano 0 euro; poi, a pagina 40, nella cronaca, di racconterà: “Scandalo all’Agenzia delle entrate: dei ladri si intrufolano e rubano computer e faldoni”, e nessuno chiederà a tale quotidiano se esiste un nesso tra i due eventi; se per caso un poliziotto lo farà si sentirà rispondere: “me li hanno dati, ho il diritto di informare: son cose che scottano, mi puoi chiedere di tenerle per me?”
(Sante Pollastro)
(1. Continua)