Come possono paesi e popoli che si sono combattuti per anni, raggiungere una tregua, un accordo? Cosa possiamo fare per aiutarli? Cosa possiamo fare per riaffermare la centralità della persona al di sopra delle differenze politiche, etniche o religiose? All’incontro di oggi del Meeting di Rimini “Le condizioni della pace” sono stati invitati S. Em. Card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Amre Moussa, Segretario generale della Lega degli Stati Arabi, perchè ci aiutino a capire su quali basi si possa instaurare un dialogo sincero e rispettoso, un dialogo fondato su una conoscenza reciproca sempre più autentica che riconosca i valori comuni e, che, con lealtà, prenda atto e rispetti le differenze. Il dialogo interreligioso e interculturale costituisce una necessità per costruire insieme il mondo di pace e di fraternità ardentemente auspicato. Nella situazione in cui si trova il mondo oggi, è un imperativo per tutti i popoli impegnarsi nell’affrontare insieme le numerose sfide con le quali si confronta l’umanità, specialmente per quanto riguarda la difesa e la promozione della dignità dell’essere umano e i diritti che ne derivano. Il Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, già Commissario europeo per la Giustizia, libertà e sicurezza, ci aiuterà a capire cosa possono fare i governi occidentali per aiutare i paesi in conflitto, quale sia il grado di intervento migliore, che ruolo possono giocare le organizzazioni non governative. Ci sono fortunatamente segni di speranza. Stanno nascendo sempre più spesso gruppi di rappresentanti religiosi che si incontrano regolarmente per approfondire le loro convinzioni e cercare quanto unisce nel rispetto delle differenze. Tra credenti non è possibile non convergere verso Dio e quindi trovare dei punti di contatto, ma la strada è lunga. La complessità di alcuni culti, che intrecciano politica e religione, le varie sfaccettature dell’adattamento dei milioni di immigrati che portano con sé culture e fedi differenti, sono elementi che richiedono approfondimento per uno scambio efficace di conoscenze e per un dialogo costruttivo e onesto. Le istituzioni europee devono sostenere attivamente tutti gli esempi di convivenza fra le diverse religioni e culture. Si tratta di un investimento decisivo ed è a un tempo il migliore contributo che possiamo dare al dialogo tra culture al di là del Mediterraneo, in Medio Oriente e nel Nordafrica. Noi non vogliamo lo scontro tra culture, ma desideriamo la pace in libertà e giustizia fra tutti i popoli e le fedi. Per questo motivo, vogliamo gettare un ponte intellettuale e culturale sul Mediterraneo volto a promuovere una società inclusiva in cui ognuno possa avere un ruolo attivo. Questo dialogo deve fondarsi sulla verità e sulla tolleranza. La tolleranza ha infatti senso solo se tiene conto dei fattori che costituiscono la nostra umanità. Una prospettiva interculturale significa costruire insieme un destino comune, lottare per la cooperazione e la fraternità e impone il bisogno di investigare i fondamenti di tutte le esperienze culturali. Oltre a questo, essa richiede la preservazione di un’identità ed evita la proposta di modelli generici, che potrebbero facilmente condurre a una frammentazione culturale e a un’instabilità politica. È necessario poi impostare dei chiari obiettivi che promuovano il superamento del fondamentalismo radicale, attraverso la formazione dei giovani al valore della sacralità della vita. La vicenda dello scontro Russia – Georgia ci ha dimostrato che, quando vuole, l’Unione europea può tornare ad avere un ruolo per la convivenza tra i popoli. È infatti attraverso la mediazione di Sarkozy, attuale presidente del Consiglio dell’UE, che si è raggiunta la tregua e il ritiro delle truppe russe dalla zona occupata. L’accordo raggiunto rappresenta un passo in avanti per il raggiungimento della pace tra la Russia, la Georgia e le regioni interessate. La strategia dei diversi attori europei ha reso il nostro continente protagonista nel processo di pace georgiano. Del resto l’Unione europea stessa rappresenta ancora una non eguagliata esperienza di successo, che ha regalato ai nostri popoli più di 50 anni di pace e che nasce proprio dalla consapevolezza che “quello che ci unisce è più forte di ciò che ci divide”. Una consapevolezza che ha acquistato consistenza nell’alveo dell’amicizia cristiana che legava i padri fondatori.



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