Ministro Sacconi, la manovra economica d’estate ha, tra le altre cose, puntato su semplificazione e deregolamentazione del rapporto di lavoro. Perché questa scelta? E come risponde alle critiche dell’opposizione, che l’accusa di abolire le tutele dei lavoratori?
Era doveroso deregolare molta parte dell’inutile oppressione burocratica sul lavoro, per incoraggiare nuovi rapporti di lavoro, rendendo più semplice la gestione dei rapporti stessi. Non sono state cioè ridotte le tutele, né tanto meno sono stati toccati i diritti relativi al lavoro; in aggiunta, si sono individuati modi anche più moderni di svolgere la funzione ispettiva in relazione al rapporto di lavoro. Credo che anche questa sia una misura che può concorrere a stimolare la crescita, e a incoraggiare sempre di più “il fare”, così importante in una transizione difficile come quella che stiamo vivendo.
Lei punta molto sul dialogo sociale che sindacati e Confindustria hanno condotto in vista della riforma della contrattazione. Che cosa si attende? In particolare: ipotizza che la detassazione degli straordinari, da misura contingente (estesa fino a dicembre) possa divenire misura definitiva e strutturale?
La detassazione è stata disegnata come una sperimentazione, in funzione di una futura misura strutturale, allorquando le condizioni della finanza pubblica lo consentiranno, e non appena il progetto del ministro Brunetta darà un responsabile datore di lavoro anche nelle funzioni pubbliche. Il governo ha così contribuito a un diverso modello contrattuale fondato sulla dimensione aziendale, anche se la norma fiscale si rivolge al reddito comunque determinato, purché aggiuntivo rispetto alla dimensione prodotta dalla contrattazione collettiva nazionale. Ora, io sono fiducioso che le parti sapranno trovare un accordo entro la fine del mese di settembre, e questo sarà un altro contributo rilevante per la crescita. Sono infatti convinto che il vecchio sistema delle relazioni industriali, così ridondante e inefficace, tanto per l’impresa quanto per il lavoro, costituisca un pesante freno alla crescita.
La polemica sulle pensioni: lei ha delimitato il campo dell’intervento alla revisione dei coefficienti e ai lavori usuranti. Prevede di ritornare su una possibile revisione dell’età pensionabile? Anche in considerazione delle dinamiche demografiche di cui lei ha messo in evidenza la criticità nel recente Libro Verde.
Innanzitutto è bene precisare che l’agenda d’autunno è quella definita dal precedente accordo tra parti sociali e governo Prodi. Io attendo i contributi – che mi auguro molti vogliano dare – alla consultazione pubblica sul Libro Verde. Credo peraltro che nessuno sarà favorevole a che i già alti oneri della spesa previdenziale sul Pil possano crescere ulteriormente, rispetto alle previsioni che si possono fare alla luce delle recenti riforme. L’importante sarà di conseguenza monitorare attentamente l’andamento della spesa e applicare rigorosamente quanto è stato definito da parti sociali e governo Prodi. Poi si vedrà.
Il tema della formazione, su cui lei spesso insiste, è strettamente legato al tema della responsabilizzazione nel mondo del lavoro, in un momento in cui si parla molto di “fannulloni”. Qual è l’importanza di questo tema, e come questo si ricollega al tema del protagonismo, su cui è incentrato il Meeting 2008?
La formazione è certamente uno dei modi fondamentali con cui declinare, dal punto di vista del lavoro, il tema del Meeting: è lo strumento fondamentale con cui ciascuno, attraverso il lavoro, può essere utile a sé e agli altri, e lo può essere lungo tutto l’arco della vita. Dunque la formazione è uno strumento centrale per avviare quell’auspicata rivoluzione della responsabilità che dovrebbe segnare la fine del lungo ’68 italiano, il lungo periodo nel quale la responsabilità è morta. La formazione implica una responsabilità diretta della persona, che deve avere da una parte l’opportunità di formarsi, dall’altra la responsabilità di essere parte attiva nei processi formativi. Potremmo dire che la formazione è in un certo senso il nuovo articolo 18. Mentre l’articolo 18 era simbolo delle tutele del lavoro nella vecchia dimensione delle tutele passive, la formazione è il simbolo del nuovo diritto del lavoro: il diritto alla conoscenza, al continuo incremento delle competenze è, insieme al diritto alla salute e al diritto all’equa retribuzione, uno dei tre diritti fondamentali nel lavoro. Soprattutto è il simbolo delle tutele attive.
Cosa ha impedito che fino ad oggi la formazione avesse un ruolo così importante?
Fino ad ora la formazione pubblica, ma potremmo dire largamente anche quella privata, sono state un fallimento. Questo perché ha pesato sulle attività formative il pregiudizio per cui l’impresa non sarebbe un luogo idoneo alla formazione; allo stesso modo ha pesato il connesso opportunismo per cui la formazione è sempre stata disegnata sui soggetti formatori, per soddisfarne corporativamente le esigenze, e trascurando quelle dei soggetti da formare. Quindi la svolta deve riguardare proprio questi aspetti: una maggiore enfasi sulla domanda di formazione, perché la domanda sia quanto più protagonista della formazione stessa. Domanda dei lavoratori ma anche domanda delle imprese; una verifica degli esiti della formazione, che non sia formalistica ma basata su un’effettiva valutazione di quanto si è appreso, di quanto le persone sanno e di quali competenze hanno maturato alla fine di questi processi formativi; e infine il riconoscimento che l’impresa è il luogo potenzialmente idoneo alla formazione. L’impresa deve essere accompagnata, ha bisogno di tutori, di forme di valutazione delle effettive competenze acquisite, e anche di servizi esterni. Ma l’impresa è il luogo idoneo alla formazione per gli occupati, e anche per i non occupati.