Il nuovo disegno di legge sul federalismo fiscale approntato dal Governo e in particolare dal Ministro Calderoli contiene soluzioni innovative e nel contempo rappresenta un’importante sintesi dei lavori degli ultimi anni: nel periodo 2003-2006 si è svolto il lavoro dell’Alta commissione di studio sul federalismo fiscale; nella scorsa legislatura sono stati avviati diversi gruppi di lavoro e la discussione è poi continuata fino ad arrivare al ddl approvato nell’estate 2007 dal Consiglio dei Ministri. Questo percorso ha offerto alle Regioni l’occasione di maturare una comune e fondata presa di posizione su alcune soluzioni decisive, evidenziate poi in un documento ufficiale della Conferenza dei Presidenti. Il testo del Governo Prodi, pur contendo diverse scelte condivisibili, nella sua versione finale risultava però inquinato da impostazioni troppo stataliste e poco rispettose dell’autonomia regionale.



Il nuovo disegno di legge riprende le buone soluzioni del testo Prodi, anche in tema di perequazione, ma nello stesso semplifica il quadro dagli eccessi di statalismo e rivaluta con intensità l’autonomia regionale e locale. Tiene conto del documento delle Regioni, porta a sintesi gli approfondimenti svolti nelle diverse sedi di studio, si spinge su alcune soluzioni innovative presenti in altre recenti proposte. Con queste premesse il nuovo disegno di legge può avere ottime possibilità di arrivare al traguardo e diventare la prima organica attuazione del nuovo art. 119 della Costituzione, di realizzare cioè in Italia quella riforma che in fondo è la madre di tutte le altre: la posta in gioco nell’attuazione del federalismo fiscale è infatti la vera riforma dello Stato. È urgente, quindi, che quella che sinora è stata una pagina “bianca” della nostra storia repubblicana venga scritta con equilibrio e sulla base di un largo consenso.



Entrando nel merito, il nuovo disegno di legge si struttura su alcuni punti fondamentali: in particolare, in tema di perequazione afferma la necessità del superamento della spesa storica a favore del finanziamento al costo standard di sanità, assistenza e istruzione. La scelta è quanto mai opportuna e la convergenza sul punto è stata molto forte all’interno di tutti i lavori citati. Il finanziamento in base alla spesa storica è stato, infatti, un fenomeno che ha inquinato per decenni il sistema della finanza decentrata, di fatto premiando le gestioni inoculate. Tanto più si era speso l’anno precedente, tanto più si riceveva l’anno dopo: la spesa storica, infatti, riflette sia i fabbisogni reali (quelli standard) sia vere e proprie inefficienze. Solo il primo elemento ha una valenza sociale significativa, l’altro rappresenta un elemento negativo che non può essere avallato. Per le funzioni non essenziali – che sono una parte molto minore dei bilanci regionali – si opta invece per la perequazione (non integrale) delle capacità fiscali.



Vengono previste finalmente misure premiali per gli enti virtuosi e si dispone anche quel principio, elaborato dalla Corte costituzionale tedesca nel 1999, per cui la perequazione non può alterare la graduatoria delle Regioni (collocando, dopo la perequazione, la Regione più ricca ad un livello più basso di quella più povera). Si prefigura un ruolo importate per la cosiddetta Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica, chiamata anche ad esercitare un controllo orizzontale, cioè tra Regioni, sui flussi della perequazione e sul loro utilizzo efficace. L’autonomia impositiva regionale è sensatamente valorizzata, permettendo innanzitutto a Regioni e Enti locali di sviluppare, attraverso esenzioni, agevolazioni e deduzioni politiche mirate a valorizzare le specificità produttive e sociali presenti sui territori. Incentivare fiscalmente certe categorie di imprese, il rispetto di standard di rispetto ambientale, o i soggetti non profit che svolgono una funzione sociale, può diventare finalmente contenuto pieno di una politica fiscale regionale.

In questo modo l’autonomia impositiva regionale può svilupparsi “verso il basso”, in chiave incentivante. La stessa autonomia, però, sarà costretta a svilupparsi verso l’alto, aumentando entro certi limiti l’imposizione, nel caso di cattive gestioni, ad esempio perché non si riduce al costo standard la spesa per determinati servizi, cioè non ci si preoccupa di rimediare a quelle inefficienze per cui uno stesso servizio in altra Regione viene a costare, alla stessa qualità, molto di meno. In questo modo autonomia e responsabilità sono virtuosamente coniugate, valorizzando la possibilità di razionalizzazione della spesa e il controllo democratico degli elettori locali. C’è molto bisogno di questo: altrimenti un federalismo come quello voluto dalla riforma costituzionale del 2001, che ha decentrato forti competenze legislative, se permane uno schema di finanza derivata rischia di lasciare il Paese a metà del guado, nella peggiore delle situazioni possibili dove lo Stato non si ridimensiona e Regioni e Enti locali non si responsabilizzano. Il federalismo fiscale è l’antidoto a questa – altrimenti devastante – situazione di stallo.

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