Quando una pubblica amministrazione pensa di poter rispondere da sola ai problemi della gente ha già smarrito il senso della propria esistenza. Di fronte ai mille bisogni che ogni giorno si affacciano alla porta degli amministratori – a quelli di un piccolo quartiere come a quelli chiamati a governare una Regione, uno Stato o una Comunità internazionale – è forte la tentazione di progettare «sistemi talmente perfetti che più nessuno abbia bisogno di essere buono»: ci si affanna allora a scrivere decreti sempre più particolareggiati, nel tentativo di prevedere tutti gli eventi futuri, e si programmano grandi riforme, inseguendo astratte possibilità di incremento della funzionalità e dell’efficienza. L’esito è che ci si dimentica di guardare in faccia i propri cittadini e, nel tentativo di risolvere i loro problemi, si finisce per ostacolare quello che già nella società esiste e funziona.
Occorre, invece, accettare di guardare ciò che avviene fuori dai palazzi. Le persone hanno capacità e talenti, si mettono insieme e costruiscono opere, lavorano per migliorare la propria vita e quella di chi hanno di fianco. Solo un’amministrazione capace di fidarsi dei cittadini può svolgere bene il proprio compito, cioè sostenere queste relazioni, aiutarle a crescere, assumendo il ruolo indispensabile di “amplificatore” sociale. Lo strumento della dote, che la Lombardia ha introdotto nel campo dell’istruzione, della formazione e del lavoro, è solo un esempio di azione sussidiaria, un tentativo, non necessariamente perfetto, di allargare gli spazi di libertà a disposizione dei cittadini.
Affidare le risorse direttamente agli individui garantisce la loro effettiva possibilità di scelta, stimola gli enti e gli operatori a offrire servizi sempre più personalizzati e chiede alla Regione di svolgere attentamente il proprio compito di regolazione e controllo del sistema. Si tratta di un’idea semplice e rivoluzionaria. Non è nata a tavolino, come frutto di una complicata teoria sulla sussidiarietà. È stata, invece, l’esito dell’esperienza degli anni passati – prima di tutto quella del buono scuola – e della collaborazione di tutti gli attori sociali, che sono i veri protagonisti del cambiamento in atto.
Oggi tutti concordano sulla necessità di riformare la pubblica amministrazione, per migliorarne l’efficienza e l’efficacia. La strada intrapresa in Lombardia può indicare una direzione percorribile da tutti: la dote, infatti, costringe l’amministrazione a riformarsi, perché mette i funzionari pubblici faccia a faccia coi cittadini, impedendo di nascondersi dietro l’opacità delle procedure. Si tratta di un primo passo verso una amministrazione per risultati, chiamata a rendere conto non solo della correttezza formale del proprio operato, ma degli esiti effettivi della propria azione.
Quella per la costruzione di una amministrazione sussidiaria, però, è una battaglia che vede molti fronti ancora aperti. Penso in primo luogo alla necessità di rendere realtà il federalismo fiscale invocato da tutti: occorre abbandonare il criterio della spesa storica, che premia le Regioni meno efficienti e penalizza i centri in cui la crescita è effettivamente prodotta. Al contrario, un sistema di costi standard definiti per le diverse funzioni permetterebbe di superare molte disparità oggi esistenti, ad esempio nel campo dell’istruzione. Una reale autonomia impositiva delle Regioni, poi, incentiverebbe sicuramente un maggiore controllo delle spese.
Ma il federalismo fiscale da solo non basta: occorre sostenere il passaggio da una pubblica amministrazione statica e burocratizzata ad una amministrazione flessibile e organica. Per questo bisogna ripensare le modalità di reclutamento e gestione del personale, aumentando la libertà di scelta della dirigenza, premiando con più decisione il merito e favorendo una competizione virtuosa tra amministrazioni.
Insieme a questi interventi strutturali, infine, è necessario lavorare alacremente per incoraggiare una nuova cultura nella pubblica amministrazione: puntare sulla formazione, condividere esempi di sussidiarietà in atto e portarli a conoscenza di tutti è il modo più efficace per far crescere una generazione di amministratori disposti a correre il rischio di “cambiare pelle”, accompagnando e sostenendo le opere che nascono fuori dai loro uffici.