L’educazione e la formazione al lavoro dei detenuti come strumento principale per ridurre i casi di recidiva. Questa, secondo il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, la strada maestra da percorrere per creare un rapporto più sereno tra il mondo del carcere e la società esterna, senza andare a toccare la sicurezza dei cittadini. E in questo diventerebbe estremamente utile e funzionale, anche in forme diverse rispetto a quelle discusse finora, l’utilizzo del braccialetto elettronico.



Sottosegretario Caliendo, una delle critiche che vengono mosse al governo, per quanto riguarda le misure annunciate in tema di riduzione del sovraffollamento delle carceri, è il fatto che bisognerebbe piuttosto pensare alla costruzione di nuovi istituti penitenziari: cosa risponde?

Per costruire nuove carceri è evidentemente necessario un certo lasso di tempo, e nel migliore dei casi si parla di 5 o 6 anni: pensare solo a quello sarebbe quindi semplicemente rinviare il problema. Il programma che il governo vuole mettere in atto, soprattutto attraverso il rimpatrio dei detenuti stranieri e l’utilizzo del braccialetto elettronico, non esclude comunque possibili ampliamenti di carceri, soprattutto dove questi già sono stati predisposti, o in quei casi dove tali ampliamenti possono ora essere realizzati. Le due cose non si escludono a vicenda; ma resta il fatto che non possiamo concepire solo interventi in là negli anni, altrimenti nel frattempo ci troveremmo in una situazione di ingovernabilità.



Il rimpatrio dei detenuti stranieri, per far scontare loro la pena nei paesi d’origine, è una strada effettivamente percorribile, alla luce degli accordi con i paesi da cui proviene principalmente l’immigrazione?

Sì, è una strada percorribile, soprattutto alla luce di alcuni accordi che già sono stati realizzati: andando indietro negli anni già il ministro Martelli aveva stipulato un accordo con l’Albania. Per parlare invece di un esempio recentissimo, l’accordo bilaterale con la Libia può incidere su questi provvedimenti. Su questi accordi che già sono in atto bisogna lavorare per ottenere risultati; poi vedremo quali altre strade percorrere. 



Per quanto riguarda invece l’utilizzo del braccialetto elettronico, ci sono garanzie sull’effettiva efficacia, anche dal punto di vista tecnico, di questo provvedimento?

Il braccialetto elettronico, indipendentemente da quelle che saranno poi le valutazioni precise sui costi qui in Italia, è già stato applicato in altri paesi, ad esempio in Francia, dove di fatto non sono stati registrati incrementi di evasioni. Non è certo una cosa da realizzare da un giorno all’altro: ma ci sono esempi positivi che ci dicono che questo provvedimento possa essere attuato senza ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini.

Potrebbe anche essere esteso per sostituire interamente il carcere con gli arresti domiciliari?

Si può pensare anche a un’applicazione di questo genere, purché ci siano naturalmente i presupposti per l’applicazione degli arresti domiciliari e dopo aver adeguatamente testato l’efficacia dello strumento.

Qual è secondo lei il punto essenziale su cui puntare per ridurre al minimo la percentuale di recidiva negli ex-detenuti?

Innanzitutto dobbiamo avere un numero maggiore di educatori. Con la previsione della finanziaria 2007 abbiamo già fatto un concorso per 397 persone, delle quali però, in base ai fondi stanziati, possiamo assumere per il 2009 solo una parte, e poi nel 2010 i rimanenti. Vedremo se con la nuova finanziaria potremo anticipare l’assunzione di questi educatori. Certo si tratta sempre di elementi che contribuiscono ad eliminare la recidiva, ma non possono debellare il fenomeno completamente. Dipende poi dalle posizioni soggettive dei detenuti.

Quanto incide da questo punto di vista la formazione al lavoro dei carcerati?

Ha un’importanza fondamentale: gli educatori devono innanzitutto avere la finalità di formare al lavoro. Inoltre, mi permetto anche di far notare che il braccialetto elettronico, una volta introdotto e una volta verificatane la funzionalità e l’efficienza, potrà essere utilizzato, per i detenuti che fossero disponibili, per lavori al servizio della società. Negli Stati Uniti ci sono esempi di utilizzo di detenuti per lavori di costruzione di strade, o per riparazioni, o in altri servizi civili. Si tratta solo di individuare un sistema che naturalmente non comporti, per ogni detenuto, la necessità di impiego di personale della polizia penitenziaria, altrimenti sarebbe evidentemente insostenibile dal punto di vista dei costi. Ma mi sembra una strada percorribile, con effetti positivi sia sulla società che sui detenuti stessi.

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