Professor Morlino, la maggioranza intende varare una nuova legge elettorale per le Europee, con soglia di sbarramento al 5% e liste preparate dalle forze politiche. Berlusconi vuole togliere le preferenze e i centristi annunciano barricate.
Innanzitutto bisogna premettere che l’obbligo europeo ci impone di mantenere un sistema proporzionale. Per quanto riguarda i due elementi controversi, soglia e preferenza, la soglia è importante, mentre la preferenza lo è relativamente, ma – questo è il mio parere – è utile nel contesto.
Perché?
Vediamo prima la situazione che si è venuta a creare alle ultime elezioni europee. Nelle elezioni del 2004 tredici formazioni hanno avuto tra uno e due seggi, ma questo non ha senso perché questa frammentazione ha indebolito i partiti maggiori e la loro possibilità di contare. Tutto si spiega con la struttura dei nostri collegi, la cui dimensione non è data dal numero degli elettori ma dal numero degli eletti. Abbiamo cinque collegi di cui uno medio-piccolo, ed è quello delle isole, che ha sette seggi, e quattro collegi grandi: il Nord Ovest con 23 seggi, il Nord Est con 15, il Centro con 16 e il Sud con 17. Questo tipo di distribuzione ha portato nel 2004 a un risultato tale per cui molti seggi sono stati attribuiti a piccolissimi gruppi: il Movimento Repubblicano Europeo, Sudtirolervolkspartei, Verdi, Comunisti Italiani, poi lista Bonino, Società Civile Di Pietro-Occhetto, Socialisti Uniti per l’Europa, Alternativa sociale, Pensionati, Fiamma Tricolore, etc. C’è stata, in altre parole, un’ampia dispersione di seggi. Perché? Perché quando abbiamo un sistema proporzionale e al tempo stesso un collegio grande – in termini di numero di eletti – avviene proprio questo. E la forza dei grandi partiti all’interno dei partiti europei si è ridotta.
E questo, a suo avviso, giustifica la soglia di sbarramento.
Esatto. Da questo punto di vista, dato che c’è una progressiva convergenza dell’elettorato verso i partiti maggiori, una soglia del 4% sarebbe sufficiente. In questo momento stiamo andando verso una trasformazione del Parlamento Ue in senso bicamerale, articolato su Consiglio e Parlamento per quasi tutte le decisioni. È un effetto riconducibile al trattato di Lisbona. Il Parlamento Ue, in altre parole, non è un parlamento come noi siamo abituati a pensare a livello nazionale: all’opposto, si va caratterizzando per una scarsa nettezza di distinzione tra maggioranza e opposizione. Ma, al pari del nostro Parlamento, funziona per Commissioni, dove gli eletti sono molto importanti nel difendere gli interessi del territorio. Questo spiega la necessità di non indebolire la rappresentanza.
Per quanto riguarda, invece, la preferenza? Qual è la sua utilità “di contesto”? Non appena si dice preferenza, subito in Italia il dibattito assume un colore politico…
La paura di una ripresa clientelare è fondata. Sulla base di una ricerca che sto facendo a livello internazionale, le posso dire che dove si sta riaffermando di più il clientelismo è il Nord Europa. Qui, e non solo, i partiti scompaiono, ma allo stesso tempo ci si accorge che occorre “sostituirli”, sostituire in qualche modo i legami di cui i partiti sono tradizionalmente portatori. I partiti hanno bisogno di controllare l’amministrazione pubblica, di nominare persone in posizioni burocratiche amministrative importanti, da cui possono controllare l’attuazione delle politiche. Emerge allora un fenomeno di “patronage” – possiamo non chiamarlo clientelismo ma è la stessa cosa. È un modo un po’ più nobile per dire rapporti personali tra dirigenti, amministrazione e politica.
Certo il rischio del clientelismo sarebbe più forte se i nostri collegi fossero più piccoli. Però in questo contesto, con collegi che occupano intere Regioni e con la funzione che il Parlamento Ue si ritrova, una funzione che si attua cioè come rapporto con élites, la preoccupazione di un clientelismo vero e proprio introdotto dalla preferenza non c’è. Nell’attuale situazione la preferenza spinge un po’ di più a informarsi e a individuare meglio i parlamentari, ad avere una maggiore coscienza politica. Anche se sul piano reale avrà poco effetto, perché il parlamentare rappresenta un territorio estremamente vasto.
Con le ultime elezioni di aprile si manifestata una semplificazione del quadro politico. Questo giustifica un’omogeneità dei sistemi elettorali – per l’Europa, per le politiche, per le amministrative?
No, è una semplificazione intellettuale. Non c’entra. Contesti diversi hanno bisogno di strumenti elettorali diversi. In realtà, quando parliamo di riduzione della frammentazione nel nostro paese ci stiamo ingannando. I risultati delle ultime politiche del 2008 sono un’apparente deframmentazione, una bipolarizzazione solo apparente alla quale corrisponde una maggiore frammentazione dal punto di vista territoriale.
Perché?
Le elezioni del 2008 hanno messo in evidenza l’impatto finale di una riforma alla quale si è data poca attenzione: quella connessa con l’elezione diretta del sindaco, alla quale è andata di pari passo lo spostamento di poteri dal consiglio alla giunta comunale. Nel tempo, e con l’indebolimento dei partiti, questo ha dato ai sindaci un ruolo centrale di decisore politico. Ed è questo che spiega il successo della Lega, o quello di Lombardo in Sicilia, o di altre formazioni locali. È una frammentazione territoriale che viene coperta dal bipolarismo a suo modo “bipartitico” che conosciamo.
Il sistema tedesco è un mito politico?
Il sistema tedesco è un sistema a soglia di sbarramento e potrebbe anche fare al caso nostro, in Italia, perché abbiamo una tendenza naturale al bipolarismo. Se poi si vuole avere la sicurezza assoluta della governabilità di chi ha la maggioranza, allora il sistema migliore, paradossalmente, può essere proprio quello che abbiamo, epurato di alcuni difetti macroscopici, come quello del premio di maggioranza.