Professor Ricolfi, sul federalismo fiscale si comincia a ragionare di numeri. Ma per ipotizzarne i costi possiamo partire dai tributi attuali (per quanto riguarda gli immobili)? E l’incognita della perequazione?
Per quel che ho capito finora, per i numeri veri dovremo aspettare molto. Quelli che sono girati negli ultimi mesi e settimane sono esercizi condotti da studiosi, senza alcuna base ufficiale. Per giudicare il federalismo bisognerebbe avere i numeri reali, operativi, decisi dalla politica, ma temo che ci vorranno anni di estenuanti negoziazioni fra Governo centrale, Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane per arrivare a un quadro stabile. Quanto ai costi del federalismo, nessuno è in grado di prevederli, ma l’impressione dei più è che non sarà un “pasto gratis”: nessun ente territoriale vorrà fare troppi passi indietro, e il caos organizzativo degli anni di transizione (qualcuno parla di 10 anni!) potrebbe produrre extra-costi non previsti, con conseguente aumento della pressione fiscale.
Quali sono i criteri direttivi che devono guidare la fase di transizione?
Costi standard delle prestazioni, responsabilizzazione e accountability, affidamento ad ogni livello di autonomia di una tassazione di propria competenza etc. sembrano più relativi ad un federalismo prossimo venturo perfettamente funzionante, anziché dire come va guidata la fase di transizione, che potrebbe annunciarsi ben più traumatica – in termini economici ma anche politici – per il Sud.
I criteri direttivi sono perfettamente muti, e quindi inutili, finché qualcuno non si decide a specificare le cifre, i meccanismi automatici, l’entità della perequazione, i premi e le punizioni. Il destino del Sud dipenderà dal grado di rigore del federalismo: se avremo (come ritengo più probabile) un federalismo pasticcione, al Sud cambierà ben poco, se invece avremo (come spero) un federalismo ben fatto, il Sud pagherà un prezzo abbastanza salato nei primi anni, ma potrebbe imparare a crescere – e quindi avere dei vantaggi – nel periodo medio-lungo.
Il principio del controllo, in base al quale l’efficienza dell’amministrazione porta “più sussidiarietà” e quindi “consenso”, può coesistere facilmente con il nuovo policentrismo di governo (regione, provincia, comune etc.)?
In teoria sì, in pratica dipende dal grado di semplicità e trasparenza dei meccanismi che verranno previsti. Se, come al momento pare certo, vi saranno panieri di tributi e norme fiscali molto differenziate nei diversi territori, i cittadini non si raccapezzeranno più e quindi non riusciranno a premiare e punire gli amministratori dei vari livelli di governo. Se invece i cambiamenti di imposizione fiscale dipenderanno da un’unica sovrattassa regionale, da un’unica sovrattassa provinciale, da un’unica sovrattassa comunale, allora le cose funzioneranno bene, perché saranno i politici stessi ad “automisurarsi” con l’entità delle tasse che i loro errori li costringeranno a imporre: per quel che si capisce dalle varie versioni della bozza Calderoli, questa eventualità non è all’ordine del giorno, perché i politici non hanno alcuna intenzione di lasciarsi “prendere le misure” dai cittadini.
Qual è o quali sono le incognite che pendono sui decreti attuativi?
Sono parecchie. Prima incognita: quanto tempo ci vorrà? Avremo un rilascio a pezzi e bocconi di decreti delegati, seguiti più o meno tempestivamente da norme attuative? Il passaggio completo ai costi standard potrà avvenire in tempi ragionevoli, o ci vorranno molti anni?
Seconda incognita: le cinque regioni a statuto speciale conserveranno i loro privilegi, o dovranno adeguarsi alle nuove regole?
Terza incognita: i costi della transizione faranno aumentare la pressione fiscale o la riforma sarà a costo zero?
Ma l’incognita maggiore, a mio parere, è quella di cui nessuno parla: che cosa si intenderà per capacità fiscale di un territorio? Quando si dice che la perequazione dovrebbe compensare i territori a più bassa capacità fiscale, di solito non si precisa se per capacità fiscale di un territorio si intende quel che il territorio paga effettivamente oggi, o invece quel che potrebbe pagare se il suo livello di evasione fiscale fosse analogo a quello dei territori più virtuosi. Con la prima definizione di perequazione potremmo avere un’amara sorpresa: le regioni virtuose del centro-nord, come la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Veneto, sarebbero chiamate a dare un doppio contributo di solidarietà: una prima volta – giustamente – per compensare il deficit di sviluppo economico dei territori meno ricchi, una seconda volta – ingiustamente – per compensare il deficit di senso civico dei territori ad alta evasione fiscale, quasi sempre coincidenti con i primi.