Nell’intervista rilasciata recentemente a ilsussidiario.net, Jacques Attali manifesta ottimismo sulla capacità della società francese di far valere il modello basato sull’affermazione dell’identità nazionale anche nei confronti delle comunità musulmane che hanno messo radici Oltralpe. In realtà, prendendo in esame le dinamiche in atto nel Paese, è legittimo esprimere più di una perplessità su tale sguardo ottimistico. La promessa di uguaglianza e di “pari opportunità” sottesa al modello sostanzialmente assimilazionista proposto dalla Francia non è stata mantenuta, e le comunità musulmane, in particolare le seconde e terze generazioni, hanno fatto i conti con una realtà fatta di grandi dislivelli relativamente al successo scolastico, all’accesso all’università e al mondo del lavoro, alle condizioni abitative. Le rivolte che hanno incendiato le banlieues, ma anche altri ricorrenti sintomi di disagio sociale, ne sono la testimonianza eloquente.



Un fenomeno parallelo ma che in più di un’occasione si incrocia con la dinamica appena descritta è la crescente influenza esercitata dalle correnti radicali dell’islam sui musulmani di Francia, che rifiutano il modello fondato sulla laïcité, che prevede la rigida separazione tra religione e politica e concepisce la fede come una dimensione totalmente privata e priva di effetti sulla vita pubblica. Alcuni episodi sono altamente indicativi: il rifiuto da parte di cittadini musulmani di far visitare le loro mogli da ginecologi maschi negli ospedali, la richiesta di riservare per un giorno alla settimana alle sole donne l’ingresso alle piscine pubbliche di alcuni comuni, il rifiuto di stringere la mano a colleghi maschi da parte di alcune donne islamiche. Atteggiamenti che destano preoccupazione anche all’interno delle comunità musulmane, tanto che il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, ha denunciato i rischi di una “talibanizzazione” dell’islam francese, che conta più di 4 milioni di fedeli.



Di fronte a una realtà così contraddittoria e carica di tensioni, il presidente della repubblica Nicholas Sarkozy sta cercando di giocare la carta di una nuova laïcité. Il capo dell’Eliseo è convinto che si debba riconoscere il ruolo che le esperienze religiose svolgono sia a livello individuale sia a livello sociale, nel quadro di un sistema di valori condivisi. E parla di “laicità positiva”, non in opposizione ma in armonia con le esperienze religiose presenti nella società francese. Non mancano coloro che criticano questa posizione denunciando il pericolo di una strumentalizzazione da parte del radicalismo islamico che potrebbe farne il cavallo di Troia per una più efficace penetrazione all’interno della società. Altri invece sottolineano la lungimiranza della proposta di Sarkozy, che con questa strategia si propone di neutralizzare proprio i nemici più accaniti della separazione tra spazio privato e spazio pubblico dell’esperienza religiosa.



I prossimi mesi diranno se la scommessa del presidente risulterà vincente, ma certamente essa va considerata un interessante tentativo di superare le secche di un modello assimilazionista che ha da tempo manifestato i suoi limiti, palesando l’incapacità di fronteggiare efficacemente le sfide provenienti dal crescente radicamento dell’islam nella terra che ha partorito i valori dell’universalismo repubblicano.