Tutti, indipendentemente dagli schieramenti e dai ruoli, concordano sul fatto che il sistema giustizia nel nostro Paese non funziona e che l’attuale situazione, oltre ad affliggere la domanda di giustizia dei cittadini, incide negativamente sull’economia, sulla sicurezza della convivenza civile e sugli equilibri della nostra democrazia.



Il Governo, sia per senso di responsabilità, sia perché le riforme della giustizia costituiscono un punto importante del proprio programma ed è consapevole che il gradimento dei cittadini è proporzionale al miglior funzionamento della giustizia, ha annunciato di voler attuare in tempi rapidi (addirittura nei prossimi mesi) significativi cambiamenti nell’ambito giudiziario.



Gli interventi pubblici del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano (tra cui il recente intervento ad un seminario nell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), hanno delineato alcuni aspetti generali delle riforme che si vogliono approntare e dei criteri che ne starebbero alla base, senza tuttavia mai addentrarsi nel merito e nei contenuti delle riforme stesse, legittimando l’impressione che il lavoro sul progetto sia solo all’inizio.

In sintesi, il Ministro ha parlato di riforma del CSM, sia in termini di ridimensionamento delle competenze (il CSM, ad esempio, svolge funzioni di indirizzo della politica giudiziaria che non gli competono), sia in termini di composizione, rivedendo la distribuzione delle percentuali tra membri togati e non; di separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti (al fine di garantire un’effettiva parità tra accusa e difesa), di revisione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (ritenuto un principio di alto valore morale e giuridico, ma di fatto impraticabile), immaginando una preventiva predeterminazione dei criteri di priorità; di riforma del processo civile, con la riduzione dei riti e dei termini processuali e del processo penale, in un’ottica di accelerazione degli stessi; infine, di riforma delle professioni forensi, avvocati e notai.



Con riguardo ai criteri che ispirerebbero le riforme, anche questi sono stati indicati in termini generali: un principio di realismo, la giustizia con la sua lentezza sta esasperando i cittadini e le loro imprese; la centralità della persona, quando si parla di giustizia si parla degli interessi dei cittadini e se la risposta alla domanda di giustizia arriva dopo dieci anni è, di fatto, una risposta negata da parte dello Stato; il principio di parità tra accusa e difesa, l’opzione politica sarebbe quella di volerla rendere piena ed effettiva.

Non vi è chi non veda la delicatezza e l’ambizione delle citate riforme (soprattutto se di rango costituzionale) e, al tempo stesso, allo stato, la mancanza di indicazioni precise, nel merito e nei contenuti, di come le stesse intendono essere attuate, che è il vero nodo della questione.

Come già sostenuto negli articoli precedenti sul tema, è nostra convinzione che la giustizia debba essere al servizio del bene comune e che, per l’importanza decisiva della materia negli equilibri della democrazia, una riforma così significativa come quella annunciata, imponga una profonda e condivisa riflessione tra tutte le principali componenti rappresentative dei cittadini e un clima di serena collaborazione e dialogo con la magistratura che ne incarna quotidianamente l’amministrazione.

Siamo altresì convinti che, nonostante non faccia parte del programma e dell’agenda del Governo, l’Esecutivo o il Parlamento dovrebbero porsi, prima o poi, il problema del conflitto tra politica e magistratura di cui abbiamo già ampiamente parlato e trovare soluzioni adeguate, oltre il Lodo Alfano che lo risolve solo parzialmente: in un’ottica futura, infatti, l’attuazione delle riforme andrebbe a collocarsi in un contesto di riequilibrio fra i poteri, evitando le strumentalizzazioni cui abbiamo assistito in questi anni (da entrambe le parti) e la possibile vanificazione delle stesse.

Sarebbe un grave errore sottovalutare l’enorme impatto che, le pur ritenute necessarie riforme della giustizia – soprattutto se di tale portata – avranno nel nostro Paese, se il contenuto delle stesse non troverà – almeno nelle scelte di fondo – una minima intesa tra le principali forze politiche e le componenti del mondo giudiziario (magistratura e avvocatura): in questo senso il Governo ha una grossa responsabilità, se vuole evitare che si rialzino i toni dello scontro, come peraltro già annunciato sulla stampa (troppo preventivamente e in modo pregiudizievole) dall’Associazione Nazionale Magistrati, per bocca del suo ex segretario, Nello Rossi e, in parte, anche del suo attuale presidente Luca Palamara.

Purtroppo, come detto, non si conosce il contenuto specifico delle varie riforme annunciate: tuttavia, essendo stato accennato l’indirizzo che il Governo intende prendere e gli istituti sui quali vuole intervenire, sarebbe utile e interessante un dibattito, con il contributo di studiosi e addetti ai lavori, magari affrontando nel dettaglio le problematiche e le possibili soluzioni relative ad ogni singola riforma proposta, nell’ottica di quel confronto necessario per rendere più funzionale ed efficiente il nostro sistema giustizia, realmente nell’interesse dei cittadini.