Il federalismo fiscale è al giro di boa: le ultime consultazioni con Upi e Anci hanno permesso di affinare ulteriormente il disegno complessivo, in attesa di un ulteriore confronto con le Regioni. Molte delle richieste avanzate sono state recepite all’interno di un disegno che non rappresenta “una generica filosofia politica” come ha scritto Enrico De Mita sul Sole 24 Ore di ieri. Il nuovo disegno di legge delega sul federalismo fiscale non è un’improvvisata: è invece un testo che porta a sintesi gli importanti lavori degli ultimi anni. Il federalismo fiscale è stato, infatti, oggetto di significativi approfondimenti a livello di studio e di simulazione dei modelli: nel periodo 2003-2006 si è svolto l’imponente lavoro dell’Alta commissione; nella scorsa legislatura si sono avviati gruppi di lavoro, e la discussione è poi continuata fino ad arrivare al ddl approvato nell’estate 2007 dal Governo Prodi.
Questo percorso ha offerto l’occasione alle Regioni di maturare una comune e fondata presa di posizione su alcune soluzioni di fondo, evidenziate poi in un documento ufficiale della Conferenza dei Presidenti, del cui impianto molto è stato recepito nel disegno di legge elaborato dall’attuale Governo. Il fondamento costituzionale del testo è quindi tutt’altro che improprio, perché fa tesoro di tutto questo percorso, considerando anche il fondamentale contributo che la Consulta ha nel frattempo fornito riguardo all’articolo119 della Costituzione, sempre sollecitando l’urgenza della sua attuazione. È urgente, infatti, portare a compimento il disegno costituzionale coniugando in modo virtuoso autonomia e responsabilità, con una possibilità di razionalizzazione della spesa e di controllo democratico degli elettori regionali e locali. Altrimenti un federalismo come quello voluto dalla riforma costituzionale del 2001, che ha decentrato forti competenze legislative, rischia di lasciare il Paese a metà del guado, nella peggiore delle situazioni possibili dove lo Stato non si ridimensiona e Regioni e Enti locali non si responsabilizzano. Il federalismo fiscale è l’antidoto a questa – altrimenti devastante – situazione di stallo.
Nel merito è opportuno precisare che nel testo, certo ancora perfezionabile, non si parla però di Irpef come imposta locale per eccellenza, ma di aliquota riservata, che poi viene declinata in compartecipazione e addizionale; in ogni caso in Spagna, dove il federalismo fiscale certamente funziona in modo egregio, una quota dell’Irpef è gestita, anche dal punto vista normativo, a livello delle Comunità autonome. Sulla fiscalità locale è prevista una razionalizzazione dell’imposizione immobiliare che non vale ad assorbire tutte le imposte locali che gravano sugli immobili, ma a portare razionalità: l’ipotesi potrebbe essere, ad esempio, quella di riportare nella fiscalità immobiliare la quota oggi soggetta ad Irpef, secondo una riforma auspicata già dall’Alta commissione; non si parla di un paniere di “imposte al buio” perché gli articoli successivi specificano quali sono. Soprattutto, riguardo alla questione meridionale, il testo riprende la soluzione approvata dalle Regioni all’unanimità riguardo al passaggio dal finanziamento in base alla spesa storica a quello in base al costo standard per sanità, istruzione e assistenza sociale, cioè di una parte che riguarda più del 90% dei bilanci regionali. Lo scopo è quello di evitare di finanziare l’inefficienza.
Sulle Regioni speciali forse bisogna considerare con più oggettività il percorso che ha portato a quelle che sono state definite “le briglie dorate dell’autonomia speciale”, e la conseguente esclusione dalla partecipazione alla perequazione verso il Sud di realtà dove il reddito pro capite è maggiore di quello della Lombardia o del Veneto. I numerosi referendum con cui molti Comuni hanno chiesto l’annessione alle ricche Regioni speciali forse insegnano qualcosa. In ogni caso nel testo del ddl sul federalismo fiscale si prevede un percorso assolutamente rispettoso di tutte le prerogative costituzionali e statutarie di queste Regioni.
Riguardo, infine, alla Cabina di Regia, che in realtà si chiama Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, è utile precisare che si tratta di una soluzione che riprende quella sperimentata con grande successo in altri ordinamenti, come quello spagnolo (Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria istituito dall’articolo 3 della LOFCA) e tedesco, dove ad esempio il Finanzplanungsrat è un organo di coordinamento delle finanze della Federazione, dei Länder, dei Comuni che svolge rilevanti funzioni consultive in rapporto alla definizione delle politiche di bilancio dei diversi livelli di governo. Infine anche soluzioni innovative come il principio per cui la perequazione sia applicata in modo tale da ridurre le differenze tra i vari territori, ma senza alterare l’ordine delle graduatorie (collocando, dopo la perequazione, la Regione più ricca ad un livello più basso di quella più povera), riprendono quanto sancito dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza del 1999, all’origine della riforma del federalismo fiscale in Germania. Difficile quindi parlare, come invece fa De Mita, di “costituzionalismo improprio”.