Si è chiusa a Firenze la festa del Partito Democratico e l’autunno della politica italiana si preannuncia tiepido. Le sorprese non sono mancate, tra tentativi di regicidio e rilancio di un progetto che fino ad oggi stentava a decollare.

Emergono per forza e per intensità soprattutto gli applausi a Veltroni. Un discorso intenso, il suo, che ha messo a tacere molte delle critiche – alcune ingenerose a dire il vero – che avevano animato la vigilia di questa festa – dibattito. Vincitori e perdenti, ora, si confronteranno alle corde. Ne esce piuttosto male Artuto Parisi; non in assoluto, beninteso. La sua stoffa di politico di razza non si discute, la sua caparbia ostinazione verso un progetto ulivista morto e sepolto nelle coscienze sì. L’ex ministro della difesa ha attaccato il leader, ne ha evidenziato lo schema tattico troppo debole di fronte ad un capo del governo agguerrito come non mai. Ne esce maluccio anche Franco Marini, il cui tentativo di rosicchiare un posto di vertice nell’organigramma all’ex loft è stato troppo evidente. E pensare che, appena quaranta giorni fa, l’astuto abruzzese aveva aiutato Massimo D’Alema a fondare l’associazione ReD, una vera e propria corrente, un partito nel partito, che – scommettiamo – sarà poi il motore di un progetto di riforma del PD dall’interno quando e se Veltroni dovesse fallire. Bene, per l’appunto, D’Alema, che ha il pregio di parlar chiaro. L’ex ministro degli esteri ha invocato una discontinuità già dall’autunno, vorrebbe un congresso con tutti i crismi – inclusa la conta delle tessere – e la elezioni ricorrente degli organismi dirigenti. La sua disponibilità a rientrare dalla finestra nella organizzazione di partito è stata chiara sin dalle prime battute. Così come, a marcare sul sentiero della discontinuità è stato Francesco Rutelli, che dopo un po’ di purgatorio vuole rientrare nell’agone – ed ha contenuti e mezzi importanti per farlo.



Le altre fronde, i cespugli, i rami sono stati tutto sommato in silenzio, nell’attesa di capire quale fosse la posizione del leader. E Veltroni non si è fatto attendere, è apparso in forma come raramente è accaduto in questi ultimi mesi, ha addirittura acceso la folla su un paio di passaggi – quelli meno obamiani, tra l’altro.



Il suo discorso ha un senso chiaro: Veltroni non ha alcuna intenzione di abbandonare la prospettiva del dialogo con l’attuale maggioranza, ma al contempo vuole preparare il terreno per una possibile riscossa, che dovrebbe cominciare proprio dalle prossime elezioni europee. Un’arma a doppio taglio, perché la sconfitta a quelle elezioni potrebbe significare anche il capolinea per l’ex sindaco della Capitale. Ma sui contenuti c’è stato un passo in avanti: giustizia, scuola, socialità, solidarietà e tasse. Temi declinati da Veltroni con una inconsueta chiarezza. Mancano all’appello però due temi essenziali per il futuro del PD. Il primo è relativo alla sua struttura costitutiva, alla questione delicata del “partito fluido”, che molti considerano perdente. Per ora il compromesso c’è: le tessere sono già disponibili e il congresso servirà anche a contarle. Ma il loro numero e la loro consistenza non saranno parametri sufficienti. Come a Piazzetta Cuccia, anche nel PD le quote si peseranno, piuttosto che contarsi.



Infine, c’è la grande questione delle alleanze. E su questo la distanza appare incolmabile. Veltroni continua a coltivare il sogno della autosufficienza elettorale, delle mani libere; o comunque di alleanze ritagliate sulla piena convergenza di programma. Così facendo, il leader del PD ha definitivamente disconosciuto l’apparentamento con Di Pietro, ammettendo un errore tattico che sta costando parecchio al Partito Democratico. Altri – Letta, Rutelli – vorrebbero subito l’alleanza con Casini e l’UDC. Prima, almeno, che le sirene berlusconiane tornino a farsi sentire.

Altri ancora, infine, stanno pensando ad un allargamento del raggio a sinistra, dove hanno ancora buoni amici.

No news, good news verrebbe da commentare. Ma qualche novità da questa festa del PD è uscita fuori. Vedremo se sarà sufficiente e far tornare il popolo della sinistra a sognare.