Il Mezzogiorno italiano, oltre che con la crisi economica, si trova a fare i conti con una crisi politica, soprattutto dopo il ciclone giudiziario che ne ha travolto alcune amministrazioni, e che in seno al Partito Democratico ha aperto la cosiddetta “questione morale”. Proprio con un esponente del Pd, Linda Lanzillotta, proviamo a capire le strade che la politica può intraprendere per uscire da questo “pantano”, anche a seguito dell’appello di Gianni Pittella e Andrea Geremicca pubblicato ieri su questo quotidiano.
Onorevole Lanzillotta, innanzitutto cosa pensa dell’appello per il Mezzogiorno lanciato da Pittella e Geremicca?
Mi sembra giusto richiamare le parole del Presidente Napolitano che chiedono uno scatto di orgoglio alla società civile meridionale per non restare travolta dalla crisi che stanno attraversando le istituzioni sul territorio e in più in generale il rapporto tra istituzioni e società.
Credo che questo sia tanto più necessario quanto più attraversiamo una fase, che avuto inizio da alcuni anni, in cui è aumentato il ruolo delle istituzioni di governo regionale e locale.
La qualità dello sviluppo economico e civile di questi territori dipendono molto, e sempre più dipenderanno, dalla capacità dei governi locali di esercitare adeguatamente le loro funzioni. Credo quindi che sia molto importante che la società civile meridionale esprima una classe dirigente all’altezza di questo compito che ritengo sia la sfida e anche il grande punto interrogativo che è dietro la riforma federalista.
Cosa può cambiare per il Mezzogiorno dalla riforma federalista?
Il federalismo è una grande opportunità di cambiamento della politica del Mezzogiorno che ha sempre puntato su dosi massicce di spesa pubblica. Oggi quello che viene chiesto al Mezzogiorno con il federalismo è di usare quella spesa per raggiungere determinati standard di qualità amministrativa, economica e sociale. Quindi per questo occorrono gli strumenti che consentano alle amministrazioni di amministrare in modo diverso.
Lei pensa che il “problema” di cui oggi vediamo le conseguenze abbia radici lontane?
Credo che si debba riflettere (e in parte nell’appello di Pitella e Geremicca ci sono indicazioni di riforma) radicalmente e in maniera approfondita su quelle che sono state le riforme degli anni Novanta che hanno molto puntato su meccanismi di modernizzazione, rafforzamento dell’autonomia, riduzione dei controlli, aumento dello spoils’ system. Talvolta questi meccanismi sono stati utilizzati in modo distorto dai governi locali e questo è uno dei fattori che credo sia alla base dei problemi e delle degenerazioni della governance locale cui stiamo assistendo.
Il suo partito, il Pd, è quello più rimasto travolto dall’uragano giudiziario, tanto che si è aperta la “questione morale”. Che risposte occorre dare?
Penso che il Pd debba dare una risposta politica per affrontare questi problemi. Non solo quindi una risposta che fa appello solo alla morale individuale, ai comportamenti soggettivi, ma fare un’analisi del perché si sono prodotti questi fenomeni.
E secondo lei quali sono le cause?
Le riforme degli anni Novanta puntavano alla separazione tra politica e amministrazione, alla responsabilità e autonomia della dirigenza ma in molti casi abbiamo fatto rientrare dalla porta quello che avevamo cacciato dalla finestra. L’eccessiva dilatazione ha riportato la dirigenza sotto il controllo della politica, i controlli successivi hanno funzionato molto poco, la proliferazione di enti e società ha sottratto alle regole pubblicistiche assunzioni ed appalti. Questo complesso di fenomeni ha in parte concorso a produrre le distorsioni cui stiamo oggi assistendo.
In una sua lettera a Il Corriere della Sera del 9 gennaio, lei ha spiegato che la politica nazionale è dovuta soccombere di fronte ai potentati locali…
Certo, perché questo sistema ha creato dei sistemi di potere locali molto forti che condizionano la vita dei partiti, perché i partiti cosiddetti radicati nel territorio sono quelli in cui conta poi il peso che si ha a livello territoriale. Se questo “peso” viene costruito attraverso un potere locale gestito nel modo che ho spiegato poc’anzi, la visione nazionale soccombe perché è condizionata da potentati locali costruiti attraverso questi meccanismi. Per questo credo che una riforma della governance locale, che ritorni allo spirito delle riforme dei primi anni ’90, possa essere anche una riforma della politica.
Ma questa riforma deve avvenire a livello centrale?
Deve partire dalle leggi dello Stato. Sto lavorando a un pacchetto di riforme legislative della governance locale e mi auguro che il Pd lo faccia proprio. Occorre una revisione delle leggi statali che riguardano lo spoil system a livello comunale, ma anche nel settore della sanità (che non è poca cosa in questo meccanismo), i controlli, il divieto di utilizzare strutture parallele alle amministrazioni, quali le società pubbliche in house. Non è un caso se negli anni scorsi le riforme in questo settore hanno incontrato resistenze così forti e così trasversali.
E come si può evitare che la politica nazionale soccomba nuovamente di fronte ai potentati locali?
Tutto sta nelle mani della politica. La politica nazionale può reagire e dare una risposta lanciando una riforma della governace regionale e locale che sia anche una risposta alla questione morale. Naturalmente non bisogna neppure fare improprie generalizzazioni perché ci sono molti amministrazioni e molti amministratori che lavorano con passione, con intelligenza e con grande onestà e concorrono allo sviluppo del Paese.
Ritiene che nel Mezzogiorno ci siano elementi ancora “sani”?
Credo che nel Sud ci siano molte energie positive che possono reagire a questa situazione, sostenendo un processo di riforma che può consentire a queste forze di emergere, mentre oggi sono in qualche modo compresse e sacrificate da logiche di gestione del potere che non fanno emergere i migliori, ma piuttosto chi gestisce il potere intessendo rapporti non sempre trasparenti con l’economia locale.
Queste energie presenti possono fare proprio un grande disegno di riforma delle amministrazioni territoriali e farsene interpreti.
Come pensa che la società civile possa aiutare la politica in questo processo di riforma?
Penso che la società civile, i luoghi di elaborazione di cultura politica siano importanti proprio per lanciare idee, aggregare energie culturali e sociali a sostegno di queste proposte e spingere perché ci siano veri cambiamenti.
Non penso che questi organismi debbano trasformarsi in organizzazioni politiche come qualcuno talvolta vorrebbe, perché devono mantenere il loro ruolo di luoghi di elaborazione e aggregazione di pensiero, di forze che sono a lato della politica, che però vogliono contribuire al rinnovamento della politica.
Credo che quanto più è ricco questo tessuto tanto più può essere forte una politica che voglia innovare. La politica può trarne linfa, pensiero, sostegno, assumendosi però le proprie responsabilità.