Non è stata una semplice presa di posizione di carattere istituzionale. Dietro alle parole con cui Fini ha criticato il ricorso alla fiducia sul dl anti-crisi si cela, secondo l’editorialista del Sole 24 Ore Stefano Folli, un forte malumore nella maggioranza, destinato a conseguenza importanti nel prossimo futuro. La strada del partito unico non ha alternativa; ma lo slancio dei primi tempi è notevolmente venuto meno.



Folli, la presa di posizione di Fini, come lei ha avuto modo di dire, «mette a nudo gli screzi della maggioranza»: quali sono nel dettaglio le divergenze principali che hanno portato a chiedere la fiducia sul dl anti-crisi?

Quando si decidono misure economiche c’è sempre qualche mal di pancia, perché si vanno a toccare settori di interesse. È difficile pensare che in una maggioranza siano tutti coesi su una manovra così complessa. Ma il vero problema è un altro, e cioè che la maggioranza del centrodestra è così ampia che fa impressione il fatto che debbano procedere a colpi di fiducia. Non dimentichiamo che una vera coalizione si tiene insieme con il convincimento politico: se manca questo, ci possono essere questi colpi di frusta, che incrinano i rapporti e che dimostrano una carenza di leadership politica.



Qual è allora il problema politico di fondo di questa maggioranza?

Ci sono tanti problemi politici, e uno tira l’altro. Tutta la vicenda di Malpensa, ad esempio, ha lasciato uno strascico: c’è un partito del Nord che scalpita, lamentando il fatto che da una maggioranza con una forte anima nordista non emergano punti di vantaggio per il Nord. E anche la vicenda del federalismo fiscale pesa: non si quando verrà approvato, e anche quando questo dovesse succedere, passerà molto tempo prima che venga percepito dalla gente e che quindi generi consenso a livello di elettorato. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che c’è una certa scarsa considerazione da parte di Berlusconi delle regole parlamentari, il risultato è quello che abbiamo visto, con la forte presa di posizione del presidente della Camera. D’altronde Fini riesce a guadagnarsi un ruolo solo se dimostra di poter rappresentare una garanzia di equilibrio istituzionale. Ma questo non è solo un fatto istituzionale, è anche un fatto politico.



Le prese di posizione di Fini, nel suo lungo e tormentato rapporto con Berlusconi, hanno in passato avuto sempre esiti incerti, e sono state dettate da strategie politiche non sempre chiare. Le pare che dalla carica che riveste oggi questa sua posizione diventi più solida, o è ancora tentennante come in passato?

Da un punto di vista politico non credo che An possa essere qualcosa di diverso da quello che è stato in questi anni, all’interno di uno stretto rapporto con il partito berlusconiano. D’altra parte è inevitabile che la nascita del partito unico crei una serie di malesseri, dati dal fatto che An si sente annessa da Berlusconi. Sono ovviamente questioni di potere, che poi si risolveranno con la garanzia di certi posti e di certe candidature. In tutta questa situazione Fini è uscito dall’agone politico: ha  ottenuto un ruolo istituzionale molto forte che gli permette di incidere, ed usa questa sua posizione per ritagliarsi un profilo personale visibile. Tutto sommato l’unica carta che ha da giocare in questo momento è quello di essere garante di un equilibrio istituzionale, anche in rapporto all’opposizione. Cerca cioè di distinguersi da Berlusconi: lascia che lui appaia come il capo del bipolarismo “muscolare”, mentre ritaglia per se stesso il ruolo di garante di un bipolarismo “virtuoso”.

E in tutto questo quanto pesa il fatto che An, che è partito più radicato di Forza Italia, non voglia perdere il proprio “potere” territoriale nella fase di costruzione del nuovo partito?

Certo c’è un potere che An non vuole perdere. Ma non ha una strada diversa da quella tracciata da Berlusconi. Quindi mi pare che non  ci sia una particolare strategia politica, ma solo un po’ di guerriglia interna. Quello che bisogna per altro notare nella fase di nascita del partito unico è il fatto che pesa moltissimo il sostanziale fallimento del Partito democratico. Non dimentichiamo infatti che la nascita del Pdl fu un grande fenomeno mediatico che Berlusconi mise in piedi per scongiurare il rischio di una sconfitta di immagine, cioè quella di essere battuto da Veltroni sul piano dell’innovazione. La ben nota azione del “predellino” era un po’ una rincorsa del Pd. Dal momento in cui il Pd, a partire dalle elezioni in poi, è entrato in una crisi sempre più grave, anche lo slancio del Pdl è venuto un po’ meno. Non c’è più quella spinta mediatica che sarebbe necessaria nel caso in cui il Pd avesse dimostrato una carica innovativa forte. Sia chiaro, il partito unico si farà lo stesso; ma, venuto meno lo slancio, aumentano i mal di pancia e i piccoli contenziosi. E l’uscita di Fini è stata molto forte, il che dimostra che è molto seccato e desideroso di smarcarsi.

Lei ha fatto anche il paragone tra la presa di posizione di Fini e quanto già fatto in passato da Casini come presidente della Camera: perché Fini ha preso una posizione ancor più “spinta” e dura di quanto non abbia fatto a suo tempo Casini?

La differenza è questa: Casini aveva una sua alternativa, e non era obbligato all’accordo con Berlusconi. Fini invece è obbligato a questo accordo; anche perché, se dovesse decidere di non fare più il partito unico, metà del suo partito andrebbe in Forza Italia (ministri e capi gruppo hanno ottenuto risultati che mai avrebbero immaginato nella loro vita politica). In definitiva, comunque, mi pare importante ribadire che questo screzio è un episodio politico importante che potrebbe portare, nei prossimi mesi, a novità e ad un aggravarsi di questa frizione.