«Qui non si tratta soltanto di dibattiti ideologici tra i belligeranti. Occorre passare ad una fase completamente diversa, in cui ciascuno è obbligato a riconoscere l’esistenza dell’altro». A dirlo è Jocelyne Khoueiry, cattolica, leader della resistenza armata libanese, numero tre dell’esercito ai tempi di Bechir Gemayel, poi fondatrice del movimento laicale La Libanaise-Femme du 31 May e di altre iniziative di apostolato cattolico. Nel 1975 il Medio Oriente, come oggi, è senza pace. A farne le spese è in quel momento il Libano. Il piano Kissinger, infatti, prevede di risolvere la questione palestinese, con il consenso israeliano, dislocando i palestinesi in territorio libanese. In Libano è guerra aperta tra formazioni militari filo-palestinesi e milizie cristiane libanesi, che tentano di salvare la sovranità del paese. Jocelyne si arruola volontaria, ma non si limita a combattere. In guerra riscopre la fede cristiana, cerca le ragioni per dare senso alla convivenza, capisce quanto costa la pace. Oggi riscontra che troppo spesso noi semplifichiamo, schematizziamo, facciamo troppa teoria. Come quando riteniamo, in fondo, che quello per il dialogo sia un appello dovuto, un atto di prammatica. E che l’appello alla pace non sappia nascondere, a chi è capace di vedere, che una vera equidistanza tra le parti non è possibile e, forse, nemmeno voluta. Ma «la posizione del Santo Padre – risponde Khoueiry – è l’unica soluzione autentica e durevole».
Jocelyne Khoueiry, la tregua promossa dall’Egitto non ha tenuto: perchè?
Perchè Hamas non intende venir meno alle condizioni che ha posto: ritiro dell’esercito israeliano, apertura dei varchi e termine dell’embargo che dura da mesi.
Che senso avrebbe d’altra parte il sì ad una tregua da parte di un’organizzazione fondamentalista?
La parola «fondamentalista» è ormai attribuita, senza troppe distinzioni, a tutte le organizzazioni islamiche orientali e arabe. Ma occorre uno sguardo più accorto sulla nostra realtà, per poter distinguere tra un movimento islamista che accusa di apostasia coloro che gli sono differenti attribuendosi il diritto di eliminarli, e che predica il ritorno alla dominazione islamica, come Fath el Islam e Al Qaida, e un movimento islamico nazionalista che si considera come un movimento di resistenza contro l’occupante, come Hamas in Palestina. Non dimentichiamo che Hamas ha largamente vinto le elezioni legislative nel 2005 avendo in lista anche candidati cristiani.
Molti dicono che una tregua con Hamas non risolverebbe il vero problema, perché l’obiettivo di Hamas è distruggere lo Stato di Israele. Qual è la sua opinione ?
Una tregua non può essere la soluzione, ma semplicemente lo stop alle ostilità per poter passare ai negoziati. Prima di arrivarci, ciascuna parte cercherà di migliorare le proprie condizioni sul campo per massimizzare gli obiettivi. Ma qui non si tratta soltanto di dibattiti ideologici tra i belligeranti. Occorre passare ad una fase completamente diversa in cui ciascuno è obbligato a riconoscere l’esistenza dell’altro al pari delle sue esigenze. Hamas cerca di imporsi come partito che rappresenta i diritti dei palestinesi, quegli stessi diritti che Fatah non ha potuto difendere del tutto, per le omissioni arabe e la pressione internazionale. Dal canto suo Israele tenta di fiaccare Hamas, di allontanarlo dal quadro dei negoziati e di cambiare la situazione prima dell’inizio del nuovo mandato del presidente Usa.
Hamas è isolata o no nella popolazione della Striscia di Gaza?
La coesione tra Hamas e la popolazione di Gaza è totale, soprattutto sotto bombardamenti che hanno colpito donne e bambini. Come è stato per il Libano, la guerra di Israele ha sortito l’effetto opposto a quello auspicato, suscitando l’indignazione e la rivolta unanime. La reazione israeliana non ammette giustificazioni. Anche le popolazioni musulmane moderate di certi paesi arabi si sentono oggi in imbarazzo di fronte all’aggressione. Questo è un fatto che in Libano ho potuto riscontrare in modo evidente.
Israele ha risposto all’attacco di Hamas per difendersi. Non era l’unica risposta possibile da parte di Israele?
In Occidente avete semplificato troppo i termini del conflitto. Bisogna tornare ogni volta a considerare la questione israelo-palestinese nel suo complesso. Abbiamo assistito ad una ingiustizia che deve essere regolata nel rispetto dei diritti e della dignità. Se questo problema si trascina, dovremo sfortunatamente aspettarci un aumento del ricorso alla violenza anche in altri territori. Ma questo metterà in difficoltà diversi governi arabi, che potrebbero dover affrontare sommosse popolari interne.
Negli anni ’80 Arafat cercava un difficile dialogo con Israele e rimproverava l’Occidente di non far nulla per impedire a Israele di aiutare Hamas a organizzarsi in partito politico… Quanto la situazione attuale è figlia di errori passati?
La situazione attuale è l’espressione di una continua «fuga in avanti». Si è voluto imporre una pace senza giustizia, il che è un non senso. Ecco perchè anche la comunità internazionale ha delle responsabilità: essa ha compromesso la sua imparzialità e il suo dover essere rispettosa e garante dei diritti di tutti senza distinzione. Queste omissioni hanno fatto sì che le circostanze oggettive nelle quali si è trovato il popolo palestinese portassero diritto alla nascita di Hamas. Ecco perchè le bombe israeliane nella fase cui stiamo assistendo sono l’espressione di un fallimento. L’impasse nel quale ci troviamo fa sì che anche una vittoria militare non sarebbe in fondo che passeggera e illusoria.
Esiste il pericolo di un’azione comune tra Hamas ed Hezbollah e che si apra di nuovo il fronte libanese?
Son in atto tentativi ambigui per innescare un conflitto nella frontiera sud del Libano. Fortunatamente non vi è implicato Hezbollah, l’esercito libanese e la Finul tentano al meglio di controllare la situazione.
Difendere Israele vuol dire difendere la democrazia. L’opzione per Israele ha alternative?
Il metodo democratico deve essere universale e rispettoso di tutti i diritti. Diritto all’esistenza, alla libertà e alla differenza.
Il Papa difende il dialogo e chiede la pace. La sua è una posizione realistica?
Sono completamente d’accordo con la posizione del Santo Padre. E l’unica soluzione autentica e durevole. Quando il Papa parla di dialogo sottintende anche le sue condizioni preliminari ed effettive. Che sono innanzitutto la constatazione che non si può eliminare l’altro e privarlo della sua dignità.
Che significato ha, per un cristiano, vedere che la Terra Santa non trova la pace? Qual è il compito dei cristiani?
Il più grande dolore è vedere regnare l’odio. Il cristiano è innanzitutto testimone di verità e di giustizia e artigiano di pace. Ma tutto questo ha un costo e passa per l’impegno e la carità, che conferisce al cristiano la capacità di una mediazione reale. Di fronte all’ingiustizia e all’aggressione la sua posizione non può essere teorica e remissiva, ma profondamente immedesimata con la sofferenza del suo popolo. I cristiani oggi, in Medio Oriente, sono coloro che possono portare speranza dentro tutte le miserie.