Il 2008 si chiude con governo e maggioranza che per la prima volta non registrano uno stato di affanno e scricchiolii, ma gli interrogativi del 2009 non mancano e taluni incombono.

Il principale è naturalmente legato alle dimensioni dello “tsunami” economico. Deridere Berlusconi perché si preoccupa di infondere fiducia e ottimismo accusandolo di sottovalutare la crisi è una critica che rispecchia un’ostilità pregiudiziale che non coglie la direzione di marcia di Palazzo Chigi. Di fronte alle incognite è evidente che il primo intervento è ragionevolmente concentrato – non solo in Italia, basti pensare a Bush e Obama in ciò convergenti – sul fronte della domanda per tentare di evitare che non si diffonda un’epidemia di sfiducia.



È in questo quadro che va valutato con attenzione come Berlusconi sia stato molto attento in queste ultime settimane a spegnere i focolai di tensione sociale cercando di chiudere e certo non aprire fronti di scontro: dal rinvio del maestro unico alla proposta di settimana corta condivisa dalla Cgil.

Analogamente la linea di condotta di Palazzo Chigi, inventandosi anche una diarchia Tremonti-Letta, è preoccupata di non dare l’impressione di approfittare dell’emergenza finanziaria per colpi di mano che potrebbero esporlo a una plateale contestazione di “conflitto d’interessi”. È quindi un Berlusconi con una linea morbida e conciliante che si affaccia sul 2009 a livello di presenza nel Paese. Ma non del Parlamento.



Se infatti una maggioranza non è in affanno ciò deriva dal fatto che è l’opposizione a trovarsi in stato di affanno. La sconfitta elettorale non ne è la causa in quanto essa era scontata ed era alla base dello stesso generale “passo indietro” compiuto dall’intero gruppo dirigente di partito e di governo della sinistra a favore del trasferimento di Veltroni dalla guida del Comune di Roma a quella del Partito democratico.

L’affanno nasce dal pericolo che l’esito del voto per il Parlamento europeo non sia tale da determinare la fine dell’esperimento con una scissione consensuale tra le due “anime” cofondatrici. Se il nuovo Partito si stabilizza a livelli che non permettono di ipotizzare alcuna rivincita “a vocazione maggioritaria”, la scelta naturale, se non obbligata, diventerà quella di ridar vita da un lato ai Ds ingrassati con un inglobamento di una parte della sinistra antagonista e dall’altro alla Margherita ingrassata con un inglobamento dell’Udc.



Per evitarlo occorrerebbe uscire dall’affanno proponendo una alternativa credibile. Ma non sembra percorribile né il tentativo di dar vita a uno schieramento che va da Vendola a Casini, né quello di angosciare la maggioranza sulla base dell’asse Pd-Di Pietro. E Berlusconi, sin dall’inizio del 2009, andrà allo scontro in Parlamento con l’opposizione proprio mettendo a nudo il Pd nel suo rapporto da un lato con la sinistra antagonista e dall’altro con l’Italia dei Valori e cioè: misure economiche e riforma della giustizia.

Gli ambienti antiberlusconiani più avvertiti e non irresponsabili sono consapevoli del pericolo che il mantenimento di un “legame di ferro” con movimentismo e giustizialismo rischi di portare l’opposizione in un ruolo marginale e soprattutto conservatore mentre agli occhi del Paese il governo si presenta come soggetto dinamico e innovatore.

A cominciare dal Quirinale ci si preoccupa quindi di promuovere un clima di disgelo tra i blocchi contrapposti e a sollecitare un regime di ampie convergenze per affrontare l’emergenza e varare riforme di rilevanza quasi costituzionale dal federalismo alla giustizia.

I “pompieri” non mancano in entrambi i campi. Da un lato spicca il leader della Lega, Umberto Bossi, che continua a elogiare i leader dell’opposizione e a presentare se stesso e il progetto di federalismo come un ponte tra maggioranza e opposizione. Dall’altro si distingue Luciano Violante che, legato a D’Alema, si presenta come interlocutore sensibile all’esigenza di riformare il Csm, rivedere il ruolo delle Procure, evitare errori e abusi nel corso delle indagini.

Le prossime settimane quindi evidenzieranno se sia davvero percorribile un tratto di cammino comune oppure se il dialogo sia solo uno scenario di cartapesta. Di positivo c’è il fatto che il 2009 offre una prospettiva che rende difficile soluzioni frutto di mero politicismo: accordo o scontro dipendono da quanto siano davvero concrete le soluzioni legate all’uno o all’altro.