Berlusconi in affanno? Dai sondaggi che circolano il governo registrerebbe un calo di consensi e la maggioranza, per la prima volta dalla costituzione dell’esecutivo, vedrebbe il giudizio favorevole scendere al di sotto del 50 per cento. Effetto – secondo alcuni – anche del “caso Kakà”. Il fatto che la cessione al Manchester gli stava costando un 2% in meno nei gradimenti avrebbe indotto il premier all’annuncio in diretta che il giocatore era “incedibile”.
Al di là delle congetture è evidente che il Pdl sta vivendo un passaggio in cui non mancano forti tensioni. La difficoltà è confermata dal suo stesso vertice come si può leggere in varie interviste di questi giorni e negli interventi sul Riformista del ministro Sandro Bondi e del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto (il primo in polemica con Alessandro Campi che aveva visto nell’unificazione tra Fi e An l’inizio del “dopo Berlusconi” ed il secondo in riferimento al dibattito su Il Giornale sbilanciato sulla “cultura di destra”) che rivendicano non solo il primato di Berlusconi, ma anche di Forza Italia nel quadro di una politica che ha fatto proprie le istanze cattoliche, liberali e del socialismo riformista. Parallelamente si è registrata l’intervista polemica sul Corriere della Sera del “coordinatore” di An, Ignazio La Russa, che contesta il decisionismo di Berlusconi ed il ruolo quasi da “fratello maggiore” di Fi concludendo con un tocco quasi minaccioso che la Presidenza della Camera non può significare che Gianfranco Fini viva su Marte.
In sostanza la prospettiva di unificazione alimenta, man mano che si avvicina, il timore in An che si tratti di un assorbimento in condizioni minoritarie mettendo in allarme i dirigenti sia per i loro ruoli sia per il mantenimento della tradizione che si portano dietro. A ciò si aggiunge il fattore di ulteriore nervosismo rappresentato dalle prossime elezioni soprattutto amministrative. All’interno del Pdl c’è il problema degli equilibri legati alla spartizione delle candidature nella mappa delle leadership locali come viene evidenziato dal caso della Provincia di Milano. Inoltre all’esterno del Pdl, ma in seno alla coalizione, c’è la Lega che ha messo in moto atti di distinzione ed anche di conflittualità con il nuovo soggetto politico. Il tutto si è tradotto in una serie di votazioni parlamentari e di polemiche pubbliche tra An, Lega e Fi che hanno trasmesso un messaggio di nervosismo e persino di confusione.
Gli elettori sono poco appassionati al tema delle identità dei partiti che peraltro tengono a vantarsi di essere tutti nuovi e senza ideologie.
La preoccupazione sembra essere soprattutto quella del ritorno ad un’esperienza deludente quale è stata la legislatura 2001-2006 con un governo in seno al quale c’erano leader che tiravano il freno a mano e cioè il fantasma di nuovi Follini e Casini con provvedimenti sempre rimessi in discussione, un governo al rallentatore con provvedimenti che rispecchiano trattative a dispetto: sempre meno decisione, chiarezza ed efficacia.
Ma anche le diatribe di partito avrebbero meno effetto se non ci fosse da fare i conti con timori diffusi che riguardano le prospettive di occupazione e di reddito nei prossimi mesi. E’ qui che il governo ha una difficoltà quasi insormontabile perché è determinata da fattori obiettivi. La natura di questa crisi economica è tale che la sua evoluzione e la sua dimensione dipendono molto dalle attese e dai comportamenti. In questo senso Berlusconi con Tremonti ha messo in moto una campagna rivolta a diffondere fiducia e sicurezza. Non si tratta di spot, ma di un vero e proprio primum vivere. La politica “ottimistica” del governo appare però agli occhi dell’opinione pubblica come smentita e in contraddizione con quanto viene fotografato da chi svolge una funzione non di governo, ma di osservazione e rilevazione e cioè dai rapporti che gli esperti consegnano ai vertici della Banca d’Italia e della Commissione Europea.
Questo elemento di smentita sistematica del governo che, a sua volta, non può che reagire sdrammatizzando si delinea come un dato costante quanto inevitabile.
In conclusione va però rilevato che le difficoltà del governo e del Pdl non si traducono in uno spostamento di consensi verso Veltroni e il Pd che registrano un trend sempre discendente fino al 23 per cento. Ciò evidentemente dipende dal fatto che allo stato attuale non sono stati presi provvedimenti impopolari e che la politica dell’esecutivo è appunto quella di evitare la messa in moto di un “effetto domino” depressivo.