Il ddl sul federalismo, dopo il via libera del Senato, passa ora alla Camera. Il provvedimento contiene i punti cardine della riforma dell’autonomia finanziaria di regioni, province e comuni, che il governo è delegato ad attuare attraverso i decreti legislativi. Il Pd, che si è astenuto, ha sottolineato l’importanza del confronto su un provvedimento di cui ha contribuito a modificare il testo originario. Ma – ha detto il segretario Veltroni – «la maggioranza deve sapere che il banco di prova saranno la copertura finanziaria del provvedimento e l’attuazione del pacchetto Violante di riforme istituzionali, in particolare sulla riduzione dei parlamentari e sul Senato federale». Si tratta del «tassello di una riforma complessiva», ha fatto notare il ministro per la Semplificazione Calderoli.



L’approvazione da parte del Senato è stata preceduta da numerose polemiche. A suscitare tensioni e dibattito le affermazioni, nei giorni scorsi, del ministro dell’economia. Tremonti aveva detto che mancano i dati per elaborare un modello previsionale di costo del federalismo, perché essi risentono di un numero amplissimo di variabili sulle quali pesa l’incognita della crisi economica. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Gilberto Muraro, docente di Scienza delle finanze nell’Università di Padova.



I critici hanno detto che non si può varare una riforma che deve migliorare l’efficienza senza poterne preventivare il costo.

L’obiezione a mio avviso è fuori strada, perché parliamo di una riforma dell’organizzazione statale a parità di funzioni complessive, una riforma che dovrebbe premiare l’efficienza abbandonando il meccanismo della spesa storica e adottando quello del costo standard delle prestazioni. Fare una riforma del genere non significa costruire una nuova autostrada o un nuovo ospedale, che hanno un costo preventivabile. Quantificare il risparmio previsto è qualcosa che andrà fatto ma a tempo debito, cioè quando ci saranno i decreti legislativi che specificheranno le norme e i loro effetti. Non si può farlo ora perché siamo ancora a livello di principi.



Quindi chi dice che un ddl come quello approvato ieri dal Senato doveva comprendere una valutazione di impatto, dà una interpretazione fuorviata…

Sì. A priori, senza bisogno di fare alcun esercizio aritmetico, possiamo dire che la riforma a regime dovrà comportare un risparmio, che si tratterà a quel punto di quantificare. Si potrà obiettare che di riforme che hanno generato effetti perversi è piena la storia della Repubblica. A questo si risponde che se la riforma non dovesse funzionare e il federalismo venir tradito, perché si danno più tributi locali e allo stesso tempo maggiori spese che vengono sanate a piè di lista, allora è chiaro che avremmo un sovrappiù di costo; ma sarebbe un sovrappiù di costo rispetto alla situazione presente che sancirebbe il fallimento del federalismo fiscale e non la sua mancata realizzazione.

In altre parole non si può, lei sta dicendo, verificare “in vitro” il successo della riforma.

Se si fa una riforma è perché si pensa di farla bene. Prendiamo quello che è successo con la riforma Bassanini degli anni ‘90: il forte decentramento amministrativo ha spostato molte funzioni in periferia, tutti si aspettavano una diminuzione di costo perché la periferia è più efficiente e perché la macchina centrale avrebbe dovuto ridursi. Invece cos’è successo? Che con le nuove funzioni la periferia si è ampliata, ma la macchina centrale, anziché ridursi, si è dilatata anch’essa perché è aumentato l’impiego pubblico statale; ed ecco quindi i fenomeni di doppio costo.

In che modo il nuovo federalismo deve tenere conto di questa lezione storica?

Con l’impegno e la serietà verso i vincoli da rispettare. Oppure, molto più semplicemente, senza cedere troppo agli interessi elettorali. Quel fenomeno per cui con scadenze elettorali vicine si fanno sanatorie, si eliminano i vincoli… tutte cose che conosciamo bene, purtroppo.

C’è da temere che il nostro attuale sistema istituzionale non sia adatto ad accogliere una riforma federale? Non sarebbe stato necessario metter mano prima al bicameralismo e istituire il Senato delle Regioni, per esempio?

Ne sono convinto, ma questo fa parte del miglioramento, perché il compimento del sistema federalista presuppone poi di ritoccare la macchina centrale. Però non è a questo che si deve l’eventuale doppio costo.

A che cosa invece dovrebbe essere imputato?

Al fatto che la macchina centrale non si riduca nonostante lo svuotamento di funzioni, come abbiamo in parte visto nell’ultimo decennio. E al fatto che non si instauri un rapporto serio e rigoroso tra centro e periferia: come nel caso in cui alcuni comuni e Regioni si prendano le maggiori entrate locali assicurate dal federalismo, sforino i vincoli e battano cassa a Roma.

Il Pd si è astenuto, e ha rivendicato di aver contribuito a far cambiare il ddl. La Lega ha ringraziato. È lo spirito bipartisan tanto auspicato che serve per fare le riforme?

Mi pare che sia un buon avvio. Calderoli ha avuto la pazienza di cucire insieme vari segmenti dell’attività pregressa perché ha attinto ampiamente a molti elementi del ddl Prodi-Lanzillotta, e ha ascoltato le Regioni, creando una piattaforma di principi su cui effettivamente l’adesione è stata larga. La verità la si vedrà sui numeri, ma non sui numeri che si pretenderebbero adesso in maniera sbagliata, ma su quelli previsti dalle regole del gioco: saranno i costi standard a dire qual è la diminuzione di spesa a cui dovranno assoggettarsi i comuni non efficienti.

Sarà, in altre parole, l’abbandono della spesa storica e l’introduzione dei costi standard a mettere “spalle al muro” le sacche di inefficienza…

E il costo standard non è ancora misurato. Esso è il costo di fornitura di servizi pubblici con un livello ragionevole di efficienza. Basarsi sui costi standard vuol dire in pratica che l’inefficienza incorporata nella spesa storica non tiene più il banco. Allora, qual è il costo standard per i comuni e le Regioni che non menzioniamo, ma che tutti conosciamo e che hanno speso un po’ troppo? È lì che l’adesione unanime verrà a cessare e ci sarà battaglia. Questo avverrà precisamente quando si dirà ad una Regione: la tua spesa storica è dieci, ma d’ora in avanti come costo standard devi spendere sei.

Come vede questa fase che si prepara?

 

In modo preoccupante, se non verrà preparata adeguatamente. Ho sempre sostenuto la proposta – che potrebbe sembrare a prima vista paradossale – di uno sforzo finanziario aggiuntivo a favore del Sud nel periodo transitorio, per prepararlo a fare il federalismo. Pensiamo per esempio agli esuberi del settore pubblico: persone che non verranno licenziate ma di cui si impedirà il turnover. Non ci saranno più sbocchi occupazionali nella pubblica amministrazione per le nuove generazioni. Se si vuole che la riforma regga, occorre che il motore economico del Sud venga riavviato. I Fondi europei devono aiutare questa transizione. Se faremo questo sforzo aggiuntivo il federalismo riuscirà, in caso contrario abortirà.

Esiste le basi politiche per fare quello “sforzo finanziario aggiuntivo” che reputa necessario?

La legge stabilisce i principi. Se noi ipotizziamo che tutti abbiano capito bene i principi e siano pronti ad applicarli lealmente, vuol dire che ci siamo. Io dubito che ci sia questa trasparenza, questa correttezza interpretativa e questa lealtà; e credo per questo che le vere battaglie per il federalismo debbano ancora essere fatte.