Che il 2009 si prospetti come un anno difficile è ormai noto a tutti. Come armarsi di fronte a queste difficoltà è invece assai più complicato dirlo. Di certo i richiami e le indicazioni su come affrontare con senso di responsabilità le difficoltà, soprattutto economiche, che avanzano non sono mancati. In particolare hanno colpito, anche per accenti e passaggi affini, le affermazioni e le esortazioni del Papa Benedetto XVI e del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Affinità peraltro confermate anche dall’organo di stampa della Santa Sede.
La politica ora deve fare i conti con questi richiami di alto spessore morale. È pronta, soprattutto la politica italiana, ad affrontare con buona volontà gli inviti alla responsabilità di fronte alla crisi che avanza, e a muoversi, come ad esempio auspicato da Napolitano, sul terreno delle riforme condivise? Stefano Folli, notista politico del Sole 24 Ore, lo auspica, ma non nasconde il proprio scetticismo.
Folli, Napolitano ha detto che se ha parlato dell’ipotesi di riforme condivise è perché crede che ciò sia possibile. Secondo lei c’è effettivamente questa possibilità?
Dovrebbe esserci. Il presidente della Repubblica ha richiamato con forza quello che dovrebbe essere percepito come un dovere comune; la crisi, proprio perché è così grave e seria, dovrebbe dar luogo a un grande sforzo di rigenerazione collettiva, e dovrebbe imporre una scelta responsabile sia alle forze politiche che alle forze sociali. Si tratta dunque di una speranza, ma allo stesso tempo anche di una spinta che il Presidente dà a un dibattito politico troppo spesso inconcludente e rissoso. Il bipolarismo non sta dando i frutti sperati: doveva essere un momento di maturazione, e invece siamo alla paralisi, con due gruppi in parlamento che si limitano a schermaglie del tutto improduttive. Il messaggio del Quirinale è dunque importante, per far sì che la politica dia il meglio di sé, e non il peggio come accaduto finora. Che questo sia risolutivo, bisogna dirlo, siamo tutti un po’ scettici. Quella che Napolitano esercita è un’alta funzione morale, ed egli l’ha interpretata al meglio. Ma dalla politica non ci sono segnali convincenti che ci possano dire che gli aspetti cruciali del 2009 vengano colti. Ed è un grave errore: il 2009 sarà realmente un anno importantissimo, e perderlo sarebbe molto pericoloso, e potrebbe anche far fallire la legislatura. Una grande sfida, di cui le forze politiche non mi sembrano consapevoli.
Napolitano ha detto, e lei ora lo ricordava, che questo richiamo al senso di responsabilità è rivolto non solo alle forze politiche ma anche alle forze sociali: cosa significa?
È importante che i sindacati e organizzazioni imprenditoriali condividano l’idea che attraversiamo un momento difficile per la vita del Paese, mettendo in campo comportamenti virtuosi, come accaduto nei momenti delle grandi crisi epocali. Napolitano ha giustamente richiamato al dopoguerra, e si potrebbe parlare anche degli anni in cui si è combattuto il terrorismo interno: momenti che determinano comportamenti eccezionali, in cui si mettono da parte certe conflittualità e per un periodo transitorio si cerca di far prevalere l’interesse generale del Paese. Una volta si diceva “della Nazione”: qualcosa insomma che trascenda l’interesse di parte. Se anche le forze sociali dessero un contributo in questo senso non credo che metterebbero a repentaglio il loro ruolo, ma dimostrerebbero maturità. E il richiamo va anche alla responsabilità dei singoli, perché ogni cittadino può contribuire a far emergere questa coesione di cui il Paese ha bisogno.
Veniamo alle affinità tra le parole per il nuovo anno del Presidente della Repubblica e quelle del Pontefice Benedetto XVI: che cos’hanno in comune?
Mi sembra che ci sia in entrambi un richiamo all’esigenza di riscoprire il senso di un’appartenenza comune: la crisi, proprio perché globale, induce tutti a uscire dai propri pregiudizi, e in un certo senso anche dall’egoismo. Ognuno poi declina questo richiamo in modo diverso, perché diverse sono le funzioni del Papa e del Presidente della Repubblica. Però a me sembra che il Papa abbia parlato con un discorso che va al di là dei credenti, e che mai come questa volta abbia parlato a una platea vasta. Direi che ha parlato come coscienza critica e civile dell’Europa; e anche Napolitano ha parlato da europeo. Credo che sia il Papa che Napolitano sentano di appartenere a un continente che ha una grande responsabilità, in un momento in cui si parla di stabilire nuove regole, morali ma non solo, per dare nuova normativa a una crisi che sembra impazzita, e in cui si è scontata la mancanza di regole. L’Europa più di tutti gli altri soggetti ha questa responsabilità, se solo le riesce di essere consapevole del proprio ruolo. Finora non lo è stata; però ha enormi potenzialità, e deve saper svolgere questo ruolo che le compete per la sua storia, la sua forza morale ed economica. In questo senso Napolitano e il Papa hanno parlato da grandi europei.
Il Papa in particolare ha detto che non basta “rattoppare”, ma occorre riformare dal profondo il sistema economico, perché sia più solidale: come può essere declinato questo invito a livello di politiche economiche?
È evidente che parlare di nuove regole non significa incrinare l’economia di mercato. Però si tratta di impedire che l’economia sia completamente abbandonata a se stessa, che persegua solo il profitto, dimenticando che esiste la dimensione sociale. Ed è proprio la politica che deve richiamare l’economia a questa funzione. Il discorso del Papa va in questo senso, e suggerisce questo ai politici. E ribadisco ancora, perché il discorso non sia vago, che tale suggerimento va soprattutto ai politici europei, per la particolare funzione di equilibrio che in questa crisi globale l’Europa può svolgere tra le diverse sfere, quella americana da una parte, e quella asiatica e russa dall’altra.
Un’altra affinità tra i due discorsi la si potrebbe riscontrare nel richiamo all’importanza del mondo educativo nella vita di un Paese, vero fondamento anche per uno sviluppo sociale ed economico. Saremo capaci di far rientrare anche questo tema nel capitolo degli interessi comuni, o manca ancora la sensibilità?
La sensibilità verso il tema dell’educazione e dell’istruzione manca certamente. Ma è un tema assolutamente cruciale, e quindi non ci si può stancare di evocarlo. È impensabile che la scuola continui ad essere derelitta come lo è stata in questi anni, non solo in Italia, ma in tutto il mondo occidentale, e nelle società europee in particolare. Tutte infatti hanno una seria questione educativa e scolastica: ci sono sì sfumature diverse, ma c’è una decadenza complessiva che riguarda tutti i paesi europei. È importante dunque che una coscienza altissima come il Papa richiami i governanti alla responsabilità su questo aspetto, e che anche Napolitano faccia un discorso affine. Io penso poi che in Italia qualcosa su questo versante stia iniziando a muoversi, almeno come percezione da parte dell’opinione pubblica dell’esigenza di un ritorno alla serietà. La questione scolastica, a mio avviso, sarà la grande priorità dei prossimi anni, ed è giusto che lo sia per una società civile che voglia dirsi tale.