La competizione interna al Pd ha raggiunto ieri l’apice della tensione: i sostenitori di Bersani iniziano a far pesare il voto degli iscritti che ha in pratica sfiduciato Franceschini, nell’altro fronte, invece, Rutelli è passato al contrattacco presentando un libro dall’eloquente titolo: “La svolta. Lettera a un partito mai nato”. La situazione comincia a diventare un parapiglia ed è difficile leggere una situazione così mutevole. Che ricaduta ne avrà sul principale partito di opposizione? IlSussidiario.net ne ha parlato con Antonio Polito, direttore del quotidiano Il Riformista ed ex parlamentare della Margherita (ora confluita nel Partito Democratico).
Direttore, questi sono sintomi comprensibili data la posta in gioco o segnali preoccupanti per il partito?
Nel Pd si stanno manifestando quelle tensioni interne che prima vivevano sottotraccia. Era inevitabile, prima o poi bisognava rompere l’unanimismo di facciata andato avanti fino ad ora. Appena si è apre un dibattito serio, sui nomi e sulle idee, si genera l’inevitabile contraccolpo di chi perde e si sente messo da parte, ma questo è l’unico modo se si vuole costruire un partito vero, con una maggioranza che lo governa e delle idee politiche precise.
Si stanno quindi affrontando dei nodi cruciali che si erano sempre rimandati?
Guardi, fino ad oggi il Pd è sembrato più un “happening” che un partito e in pratica è esistito solo sulla carta. Non ci si era mai strutturati, né contati, visto che anche l’elezione di Veltroni è stata segnata da una finta unanimità. Di conseguenza è sempre regnata la più totale confusione sulla linea politica. Normale che un processo di ricostruzione provochi delle tensioni e delle rotture.
Il fatto che chi sostiene Bersani delegittimi le primarie e chi sostiene Franceschini delegittimi il voto degli iscritti è la dimostrazione drastica che il partito non c’era.
Franceschini dovrebbe fare una riflessione politica sul voto degli iscritti come richiesto ad esempio da Penati? Dall’altro canto Bersani fa bene a screditare in qualche modo il voto delle primarie?
Le regole che ci si è dati ormai sono queste ed entrambi devono giocare la partita fino in fondo.
Per quanto riguarda Franceschini, il dato è che 2/3 degli iscritti l’hanno bocciato. Si era presentato dicendo: «Mi candido per impedire che tornino quelli che c’erano prima», ma lui era lì dall’inizio, con Veltroni, ora è con Fassino e Rutelli, i leader dei due partiti che si sono sciolti nel Pd. Nonostante il tentativo di accreditarsi come qualcosa di nuovo rappresenta quello che c’era prima e la continuità con Veltroni.
Secondo me dovrebbe trarre le conclusioni e stare attento a dire “tanto vinceremo le primarie”, perchè se gli “elettori” smentissero gli iscritti ci sarebbe una grave frattura. In pratica l’attuale segretario dovrebbe poi sciogliere il partito che gli ha votato contro.
Secondo lei Franceschini si ritirerà prima delle primarie? Se non lo farà si rischia davvero questa frattura?
Sono convinto che le primarie confermeranno il voto degli iscritti, perché c’è una grande voglia di cambiare e Franceschini parteciperà alla competizione, perché si stanno già costruendo le correnti di minoranza. Chi perde cercherà di far comunque pesare le proprie percentuali. Franceschini in pratica si sta già preparando a fare la minoranza.
Detto questo nel suo schieramento c’è chi come Rutelli vorrebbe prendere al balzo l’occasione per rompere e ha già un piede sulla porta. A prevalere però sarà la forza fondamentale che sta alla base di Franceschini, i Popolari. Si preparano a restare, come corrente organizzata, chiedendo in cambio potere.
Seguendo il suo ragionamento: la probabile elezione di Bersani e la mancata fuoriuscita della componente cattolica, rassegnata a una posizione minoritaria, cosa comporterebbe riguardo a quel nervo scoperto rappresentato dai temi etici. Casi come quello di Dorina Bianchi, scoppiato sull’indagine relativa alla pillola Ru486, saranno ancor più frequenti?
Non sarà un problema molto più di adesso, perché lo è già ed è innegabile.
La cosa curiosa è che abbiamo un Pd che oggi è diretto da un cattolico, Franceschini. E la tensione con l’ala cattolica militante è ugualmente molto forte. Franceschini qualche giorno fa ha mandato una lettera alla Finocchiaro dicendo che l’indagine parlamentare sulla Ru486 non è materia di libertà coscienza e bisogna adeguarsi alle decisioni del gruppo, è una delle posizioni più dure immaginabili su questo punto. Il problema c’è e ci sarà anche dopo. Resta da capire quali margini di libertà di coscienza verranno riconosciuti ai parlamentari.
Questo meccanismo che costringe il Pd a un altro mese a leadership parziale non rischia di indebolire il partito ancora di più, visto che già da tempo non guida l’opposizione ed è assente dal dibattito politico?
La ricostruzione era necessaria e rafforza il partito perché tutto è meglio di quello che c’era prima, cioè il nulla. Dall’altro lato il Pd è assente dal dibattito e clamorosamente rivolto su se steso. Questa cura ricostituente ha senso e avrà senso se una volta fatta andrà spesa in attività fisica, cioè politica.
Un Pd con un leader forte può riprendere in mano un’opposizione lasciata oggi in mano ai giornali e a Di Pietro?
Questa è la speranza. Un partito forte e strutturato è autonomo e decide da sé la sua linea politica. Un partito debole e inesistente come quello di questi mesi è in balia di una linea politica decisa dagli altri: Repubblica, Di Pietro, Travaglio o Santoro.
Secondo Pigi Battista sono 15 anni che da sinistra non esce un’idea nuova che sappia liberarsi dal anti-berlusconismo, che blocca la sinistra garantendo a Berlusconi vittorie su vittorie. E’ d’accordo?
Sono d’accordo. Aggiungo che la sinistra italiana ha colto le idee nuove che erano nate nel mondo (penso al new labour inglese) molto tardi, quando ormai il tempo era scaduto. La crisi finanziaria che ha messo in crisi anche quei modelli di sinistra liberale fondati sulla globalizzazione e sul mercatismo era già iniziata. Non ci sono idee, questo è fuori di discussione, ma non ci sono in tutto il mondo, non vedo dei punti di illuminazione. La crisi ha messo in ginocchio la sinistra europea soprattutto per la rapidità con cui la destra si è trasformata da liberista in protettrice dei ceti medi. Oggi è la destra che fa il keynesismo e mette i soldi pubblici nel sistema.
Per quanto riguarda la sinistra italiana non ci sono dubbi che in questi anni è stata particolarmente ferma, quasi ipnotizzata dall’anti-berlusconismo.
Il voto tedesco?
Conferma quello che dicevamo. Il dato agghiacciante per la sinistra è che mentre fino ad ora perdeva la sinistra che voleva rimanere dura e pura in Europa, come per i socialisti francesi, adesso in Germania accade anche alla sinistra di governo. Che dire? Sono auspici molto negativi.
Gettando uno sguardo al centro-destra, lei non crede come sostengono alcuni giornali che alcune anime attualmente in fibrillazione possano guardare con estrema attenzione lo strappo di ieri di Rutelli e ipotizzare un governo di larghe intese per poi approdare a un’era post-berlusconiana?
Se ci fosse un trauma nella legislatura questo potrebbe accadere. Non sono ipotesi fantasiose, perché c’è chi ci pensa e lavora in questa direzione.
Detto questo non credo che sia molto probabile. L’unica ipotesi è quella di un trauma nella legislatura che potrebbe avvenire se ci fosse una sentenza che rimandasse il Presidente del Consiglio davanti al tribunale di Milano come imputato nel caso Mills. E’ uno scenario ardito a cui io non credo, ma potrebbe determinare quella condizione di cui ha parlato Casini: nuove alleanze per evitare le elezioni.
Comunque tutti i giochi si possono riaprire solo se Berlusconi è costretto a dimettersi, o se decide di puntare alle elezioni anticipate.