La rozzezza delle polemiche di questi giorni sulla sentenza costituzionale sul Lodo Alfano rischia di travolgere quel minimo di lessico istituzionale che dovrebbe accompagnare tutti i protagonisti del dibattito pubblico. All’esigenza di un ritorno alla serietà delle riflessioni non può sottrarsi nessuno, nemmeno quelli che – come il sottoscritto – sono fortissimanente critici rispetto all’esito della sentenza, al contesto incerto e disordinato che vi si è accompagnato, ai problemi che la pronuncia (peraltro ancora non nota nella sua motivazione) apre o lascia irrisolti.



Oggi si torna a biasimare la “politicità” della Corte, guardando alle biografie o alle appartenenze storiche dei suoi componenti, scomodando perfino gli organi che in anni passati ne hanno nominato alcuni componenti. Ma deve essere chiaro un aspetto: nelle ovattate stanze di Palazzo della consulta, la politica entra di certo, ma entra o dovrebbe entrare con la “P” maiuscola. Se nel nostro sconfortante panorama istituzionale c’è un organo la cui architettura complessiva di composizione risulta tuttora mirabile, questa è proprio la Corte costituzionale. In essa convergono e si armonizzano tre anime ben diverse, ma niente affatto incompatibili: quella “istituzionale”, impersonata dai cinque membri di nomina presidenziale, quella “giudiziaria”, coincidente con i cinque membri eletti dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative, e quella più schiettamente “politica”, che origina dal Parlamento, il quale elegge giuristi di fama con sensibilità politico-culturali facilmente identificabili.



Tre origini e tre sensibilità differenti, certo, che peraltro sono fonte di arricchimento reciproco e dovrebbero fondersi in unità dentro al Collegio. E solo chi è a caccia di improbabili scoop giornalistici può pensare che queste tre origini diverse marchino linee di confine invalicabili e non comunicanti. Per quanto se ne sa, nelle camere di consiglio le discussioni mostrano convergenze spesso inattese e le sensibilità distinte e le distanze ideologiche vengono superate in nome delle scelte più opportune, più giuste, o che tali vengono di volta in volta ritenute.

Le decisioni a maggioranza pongono un problema, certo. Ma a parte il fatto che il segreto della camera di consiglio rende i conteggi giornalistici alquanto aleatori (e inducono semmai a biasimare le indiscrezioni, tanto più se provenienti dall’interno), questo è essenzialmente un problema della Corte, che essa deve risolvere al suo interno.



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Quando la sentenza sarà pubblicata, ripercorreremo i ragionamenti della Corte e valuteremo quanto saranno convincenti, e quanta novità vi sia (o meno) rispetto a precedenti non lontani. Ma è molto pericoloso il gioco al massacro che grida alla politicizzazione della Consulta, ciò che la renderebbe perciò stesso priva di legittimazione costituzionale al cospetto dei poteri che trovano fonte nella sovranità popolare. La Corte, accanto al Presidente della Repubblica, è organo di garanzia: essa non partecipa alle scelte politiche, ma ha cura che le legittime scelte politiche restino nell’alveo dei principi della Costituzione.

Per indicare ciò che ho in mente quando penso alla funzione dei giudici costituzionali, provo a farlo con un esempio concreto, riferito proprio al lodo Alfano.

M’immagino alcuni anziani giuristi, carichi di studi e di meritata fama, incerti rispetto alla decisione da prendere, proprio perché attenti a capire fino in fondo ciò che sia meglio per il Paese. Me li immagino, nella udienza ormai famosa, disposti ad ascoltare le ragioni a favore della temporanea sospensione dei processi, perfino per reati comuni, a favore delle alte cariche politico-istituzionali, e a farsene convincere: l’esigenza di stabilità politica, quella di garantire che essenziali funzioni istituzionali possano essere svolte in piena legittimazione morale e politica, quella di consentire un maggior equilibrio tra il potere politico e quello giudiziario. Ma me li immagino anche inquieti di fronte ad alcune affermazioni imprudenti degli avvocati, che ragionano perigliosamente di un presidente del Consiglio fortissimo, perché ormai “eletto direttamente”, o della legge “uguale nella sua formulazione ma diversa nella sua applicazione”. E alla fine me li immagino pensosi che no, troppi rischi a dar loro retta. Cosa è meglio per il Paese, per la Politica del Paese? Meglio una legge costituzionale, se la politica ci riesce, che un lodo giustificato così.

Non so se la mia fantasia colga nel segno, né so ovviamente dire, ora, se questa loro decisione avrà gli effetti sperati, o se invece le tensioni e il disordine che ne sono scaturite peggioreranno le cose. Ma era un modo per dire ai tanti urlatori di questi giorni: certo la Politica entra nelle stanze della Corte, solo che è di segno ben diverso rispetto a quella cui pensano loro.