Con 255.189 voti, pari al 55,13%, Pier Luigi Bersani si è aggiudicato il confronto tra gli iscritti al Partito Democratico, nella corsa a segretario. Questo dato, ufficializzato ieri alla Convenzione Nazionale del partito conferma come l’ex ministro sia il favorito. L’appuntamento decisivo rimane comunque quello delle primarie del 25 ottobre, quando i cittadini potranno esprimere la propria preferenza. L’abbiamo raggiunto per chiedergli un giudizio sulla competizione interna, l’attuale quadro politico e il futuro del Pd.



pochi giorni dalla Convenzione nazionale del Partito Democratico che bilancio si può fare?

Un bilancio sicuramente positivo, soprattutto perché è stata l’occasione per capire le differenze tra i candidati. In questa fase è giusto che ognuno dica con precisione quello che pensa, così che gli elettori possano decidere.
Io però preferisco che si capisca la proposta che il partito presenta al Paese, per questo non voglio mettere al centro le polemiche fra di noi. Non è tempo solamente di scaldare i cuori, dobbiamo costruire un’alternativa. O indichiamo quale strada vogliamo prendere oppure non svolgiamo il nostro compito.



Nella giornata di domenica i candidati hanno presentato il loro progetto, ma non era previsto dibattito. Non avrebbe replicato volentieri ai suoi sfidanti che hanno parlato dopo di lei?

Le repliche si possono sempre fare, ma non era il momento. Avrei avuto mille cose da puntualizzare laddove mi è sembrato di cogliere una deformazione del mio pensiero. Tanto per intenderci non ho mai pensato al “centro-sinistra” col trattino e non ho mai dichiarato di voler limitare il ruolo delle primarie, semmai ho ipotizzato un perfezionamento.
La nostra discussione comunque non deve andare oltre un certo segno, perché siamo una comunità.



Violante e Penati, entrambi suoi sostenitori, hanno espresso sul nostro giornale molta perplessità riguardo alle primarie. Lei parla di un perfezionamento. Cosa intende? Il Pd sceglierà il segretario in questo modo anche in futuro?

Il Pd procederà a creare l’Albo degli iscritti e dei cittadini che si dichiarino nostri elettori. Non sto inventando nulla, è scritto nel nostro Statuto, ma non è mai stato fatto. Per il 25 ottobre resto fiducioso perché penso che la gente che incontro nei circoli non è diversa da quella che verrà a votare. Vedrete che ci sarà una certa coerenza.

I giornali hanno sottolineato le assenze autorevoli di Prodi, Veltroni, Parisi e Rutelli. Se l’aspettava?

Sono scelte distinte, con motivazioni diverse. C’è chi ha mandato un messaggio partecipe e amichevole e ha scelto di non partecipare in modo che si potesse discutere liberamente, come Prodi e Veltroni. In altri casi ci sono state assenze critiche motivate, come quella di Parisi, ma sono cose che si aggiustano.

Franceschini ha dichiarato che se sarà confermato segretario la vorrà in squadra con lui, soprattutto per le sue competenze economiche. Alcuni giornali l’hanno ritenuta una caduta di stile. È d’accordo?

Che si lavorerà assieme è una cosa scontata. Il mio unico avversario, comunque, è chi sta cercando di picconare le mura della casa comune, Berlusconi.

A proposito del Premier, non pensa che la sinistra a distanza di 15 anni non stia ancora riuscendo a liberarsi dall’antiberlusconismo? C’è una differenza di approccio tra lei e Franceschini su questo punto?

 

 

Il mio modo di essere antiberlusconiano è costruire l’alternativa. Il fatto è che non c’è in gioco una persona, ma un sistema. Stiamo assistendo alla distorsione del nostro sistema parlamentare, non, come si dice, in chiave presidenziale, ma in chiave “padronale”. In questo modo ci allontaniamo da ogni altra democrazia matura.
Ecco perché ritengo indispensabile una nuova legge elettorale, in un contesto non plebiscitario, che non consenta più ai partiti di nominare i parlamentari. Il cittadino deve poter guardare in faccia il parlamentare che risponde al suo territorio.

Il sistema che ha in mente che modello segue?

Penso a un sistema parlamentare avanzato che superi il bicameralismo. Abbiamo bisogno di ridurre il numero dei parlamentari, di creare un bilanciamento tra il rafforzamento dei poteri del governo e dei poteri di controllo del Parlamento. Un sistema che garantisca la stabilità della maggioranza. Dobbiamo rimanere ancorati all’intima natura della democrazia europea e occidentale. Aggiungo anche che la questione democratica e quella sociale devono poi rimanere legate.

Cosa intende?

Dico che, se si presta attenzione, si vede che la deformazione di cui parlavo prima non ha portato nulla nelle tasche degli italiani. La crisi e la questione sociale rimangono aperte.

Lei si immagina un Pd capace di riconquistare sia le classi sociali che storicamente hanno guardato a sinistra, sia il popolo della piccola impresa, soprattutto del Nord?

Certo. Con il mondo della piccola impresa e con il popolo delle partite iva abbiamo un problema aperto, bisogna ricostruire un rapporto. Occorre un patto economico, fiscale e civico, una riformulazione della fiscalità, la semplificazione della burocrazia, che questo governo ha sempre promesso e non ha mai mantenuto. Dobbiamo ridare un po’ di ossigeno a questa economia.

Quali sono le proposte concrete in questa direzione?

Penso a un grande piano di piccole opere. Parlo di migliaia di microinterventi per dare respiro alla piccola impresa nella dimensione territoriale. Mi sembra più utile del famoso Piano delle grandi opere, che non arrivano mai.

A livello di impostazione interna del partito quali sono le differenze principali tra la sua proposta e quella di Franceschini?

Io sottolineo maggiormente l’esigenza di un partito popolare, moderno e radicato nel territorio, nel quale seleziona le classi dirigenti. Un partito che, come dicevo, si rivolga ai ceti popolari, al lavoro, alle piccole imprese, alle famiglie e alle nuove generazioni. Nella mia formulazione c’è l’idea di un profilo di cultura politica che ho definito: sociale, civico e liberale. Questa è la mia visione. Andare a vedere cosa dicono gli altri è un po’ difficile.

E sul piano delle alleanze?

Ho in mente una proposta larga. Noi ci rivolgiamo a tutte le forze di opposizione, non vogliamo fare da soli, non ci immaginiamo da soli e siamo pronti a discutere un percorso e un quadro di alleanze a cominciare dalle regionali. Come ho detto dobbiamo riaprire i cantieri dell’Ulivo e ricostruire un rapporto con la componente ambientalista e con quella sinistra che programmaticamente può dialogare con noi.

Un Pd che guardi sia al centro che a sinistra?

La politica è un fatto gravitazionale. Il partito deve rivolgersi a tutto l’arco del centrosinistra con un suo progetto che tenga insieme un’idea di Paese. Non è un lenzuolo che tiri un po’ di qua e un po’ di là. Un’idea che amalgami elementi di moderazione e rassicurazione a elementi di cambiamento e di radicalità.
Abbiamo perso milioni di voti per disattenzione a favore di altre forze del centrosinistra. Dobbiamo ribadire la nostra presenza, il nostro profilo e recuperare. Se mostreremo disponibilità e generosità nel creare un progetto alternativo gli elettori ci premieranno.

La recente polemica scoppiata per il Lodo Alfano ha riportato all’attualità il tema del rapporto tra politica e giustizia. Al di là del caso Berlusconi, secondo lei è un rapporto da riequilibrare? La politica ha bisogno di qualche forma di immunità per essere garantita?

Sono contrario a riprendere questi temi. È la politica che deve guadagnare credibilità attraverso la modernizzazione e le riforme che dicevo prima. La magistratura deve lavorare in autonomia e deve iniziare certamente a funzionare meglio, soprattutto nei riguardi del cittadino.

(Carlo Melato)