Silvio Berlusconi prova a tirarsi fuori dall’angolo rilanciando sulla grande riforma istituzionale, dal presidenzialismo alla separazione delle carriere dei magistrati.
Non è la prima volta in quindici anni. Anzi, come ha detto recentemente il sociologo cattolico Giuseppe De Rita sono tre lustri che «mastichiamo le stesse cose». E siamo tutti più stanchi e vecchi.



In ogni caso, tattico o strategico che sia, il ritrovato attivismo riformista può costituire un nuovo predellino per il premier, dopo quello storico da cui, a Milano in piazza San Babila, lanciò il nuovo partito del Pdl. È destinato al successo o al fallimento, allora, il tentativo di ritornare ai contenuti dopo mesi di fuoco in cui l’agenda politica è stata dettata dall’eterna demonizzazione del Cavaliere? Proviamo a considerare gli elementi contrari al presidente del Consiglio e quelli a favore.



Contro. Senza alcun dubbio, gli scandali sessuali cominciati con il Noemigate e proseguiti con le rivelazioni di Patrizia D’Addario, la quarantenne escort barese, hanno fatto compiere un salto di qualità alla lotta finale contro il berlusconismo. L’effetto trionfale G8 dell’Aquila, nel luglio scorso, è svanito nel corso di pochi giorni e subito dopo è ripreso lo stillicidio degli scoop giornalistici. In tutto, una campagna durata sinora cinque mesi, da aprile a oggi, e che è culminata simbolicamente con la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale.

Tutto questo rende più debole la posizione del premier e favorisce gli scenari alternativi di chi ormai pensa, a destra come a sinistra, che solo uscendo dal berlusconismo si possa dare un po’ di pace a questo Paese. È questo il ragionamento che muoverebbe una parte delle élite italiane, oggetto di recenti e feroci attacchi dei falchi del Pdl, e che coinvolgerebbe persino esponenti della maggioranza.



 

Da settimane, infatti, i sospetti all’interno del centrodestra si addensano su tre personaggi in particolare: il presidente della Camera Gianfranco Fini, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Fini si è tirato fuori quando ha assicurato pubblicamente che l’alleanza non è in discussione.

Ma da qui alle regionali del 2010 può succedere di tutto, anche alla luce del gelo tra Quirinale e Palazzo Chigi dopo la sentenza della Consulta. Senza dimenticare, infine, che un Pd guidato da Bersani con l’appoggio di D’Alema può costituire insieme con l’Udc di Casini un serbatoio potenziale cui un premier diverso da Berlusconi potrebbe attingere i voti necessari per evitare le elezioni anticipate.

A favore. Dal 1994 a oggi, il Cavaliere ha vinto tre elezioni politiche, intervallate da due sconfitte. Una sequenza impressionante. I suoi amici raccontano che quando si trova sotto pressione, ritrova la carica e dà il meglio di sé con colpi di autentico genio. L’invenzione del Pdl ne è un esempio.

Adesso, a 73 anni, potrebbe finalmente trovare la forza per portare a termine quanto annunciato sulle riforme istituzionali. Non solo: la demonizzazione degli avversari potrebbe continuare a non intaccare il suo consenso. Anzi. E se dovesse arrivare alle regionali del prossimo anno, un probabile successo elettorale gli garantirebbe un po’ di tranquillità.

Quello che è certo è che mai come stavolta è da solo contro tutti. Non a caso, va ripetendo da giorni che quella in atto è una vera guerra. Il capitolo finale della Seconda repubblica. A prescindere dall’esito. Perché il bipolarismo senza il Cavaliere sarà sicuramente diverso. Sempre che resista, il bipolarismo.