La lettera in cui l’Iran comunicava alla IAEA (l’agenzia ONU per l’energia nucleare) di aver costruito un secondo impianto per l’arricchimento dell’uranio, le accuse a Teheran di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna durante il G20 e le minacce di nuove sanzioni da parte dell’ONU, hanno aumentato la tensione e fatto nuovamente parlare della possibilità di un attacco preventivo da parte di Israele, soprattutto dopo i lanci sperimentali di missili a medio-lungo raggio da parte dell’Iran.



Finora, gli sforzi per aumentare le pressioni sull’Iran non sembrano avere avuto un grande successo, anche per l’atteggiamento ostile alle sanzioni tenuto dalla Russia all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Negli anni in cui era presidente Vladimir Putin (2000-2008), la Russia si oppose ripetutamente a ulteriori sanzioni contro l’Iran, sostenendo il diritto di Teheran a costruire propri impianti nucleari, con il supporto tecnologico di Mosca.



Ora che Obama ha deciso di rimuovere in Europa orientale le istallazioni fisse dello scudo missilistico per trasformarle in postazioni mobili più vicine all’Iran, il presidente Dmitry Medvedev all’ONU ha detto che “le sanzioni sono raramente efficaci, ma talvolta sono inevitabili”. Con la “ricomposizione” delle relazioni tra Usa e Russia, il Cremlino ha anche “ripensato” a fondo la propria politica verso l’Iran.
La visita riservata di Binyamin Netanyahu a Mosca, lo scorso 7 settembre, sembra aver rassicurato la dirigenza russa: Israele non lancerà un attacco preventivo su sospette installazioni nucleari, a fronte dell’impegno di Mosca a non fornire a Teheran gli avanzati sistemi S-300, missili in grado di portare testate nucleari.



Se la Russia lascia cadere le sue obiezioni a ulteriori sanzioni, è probabile che anche la Cina si accodi o quantomeno si astenga, data la sua politica di evitare l’isolamento nel Consiglio di Sicurezza, salvo che si tratti di bloccare interferenze negli interessi cinesi in Sudan o in questioni “interne” come Taiwan e il Tibet.
In effetti, le eventuali sanzioni dell’Onu contro le attività nucleari di Teheran possono essere viste come ipocrite, in quanto manterrebbero la diseguaglianza tra i Paesi “non nucleari”, che si ritiene troppo pericoloso abbiano la loro bomba, e gli Stati “nucleari”, che peraltro non sono tutti “stabili e democratici”, come ha giustamente notato Simon Jenkins sul Guardian.

L’invito del presidente Hu perché tutte le nazioni con armi nucleari adottino la posizione cinese del “niente uso per primi”, non ha trovato ascolto presso Obama, lasciando così Iran e Corea del Nord nel timore di un attacco preventivo americano. Teheran e Pyongyang non dimenticheranno così facilmente l’esempio iracheno. Ed è per questo che molto dipende dall’impegno di americani e russi a ridurre e, da ultimo, distruggere i loro arsenali nucleari.

 

 

Le misure punitive, d’altro canto, tendono a essere controproducenti, poiché trasformano dei Paesi in Stati paria e incoraggiano i regimi repressivi. La Russia può giocare a questo proposito un ruolo chiave, essendo in una posizione migliore rispetto all’Occidente per aiutare l’Iran a sviluppare la sua economia interna. Senza nuovi investimenti russi nella obsoleta industria petrolifera iraniana, la teocrazia dei mullah fondata sul petrolio dovrà sempre più lottare per mantenere il potere di fronte alla crescente opposizione, soprattutto dopo la rielezione fraudolenta del presidente Ahmadinejad.

Russia e Iran, con il Qatar (insieme valgono più del 60% delle riserve totali di gas naturale) stanno costituendo una “troika del gas”, concentrandosi sul gas naturale liquefatto (GNL), con la possibilità di creare sul mercato energetico globale la più grande joint venture sponsorizzata da degli Stati. Oltre che fornire nuove vie per la fornitura di energia alle economie emergenti dell’Asia, il GNL potrebbe portare al disallineamento dei prezzi del gas e del petrolio.

Il prezzo del petrolio sembra destinato a scendere di nuovo nel momento in cui cesseranno gli effetti del cosiddetto "quantitative easing", l’immissione di liquidità sui mercati, ma finirà così per non influenzare negativamente il prezzo del gas, rendendo ancora più redditizio l’investimento in questo settore. Inoltre, quando l’economia tornerà a crescere, in particolare in Cina e in Asia, aumenterà anche la richiesta di fonti energetiche più pulite, come appunto il gas naturale.

Infatti, la “troika” sta costruendo un nuovo sistema di gasdotti che unisce l’Iran con il Qatar per finire in Asia. Il progetto è di pompare il gas del giacimento iraniano di South Pars (il più grande del mondo con riserve stimate in 14 trilioni di metri cubi) in un gasdotto fino a un impianto di GNL nella provincia di Ras Laffan in Qatar (circa 160 chilometri dal giacimento).
Il Qatar ha firmato un contratto con la Cina per fornire sette milioni di tonnellate di GNL all’anno. Anche la rapida crescita di consumo di GNL della Corea del Sud rappresenta un’altra importante fonte di domanda per il gas prodotto dalla “troika”, stimata attorno ai quattro miliardi di dollari.

Il coinvolgimento del Qatar, che ospita un’importante base militare americana, ha inoltre il vantaggio di attenuare le tensioni tra Iran e Paesi del Golfo, sempre più innervositi dall’atteggiamento duro di Teheran. In questa materia cruciale e nel processo di pace tra Israele e Palestina, il Cremlino ha in questo momento un’opportunità unica per agire come un intermediario serio.

In breve, Mosca può unire il bastone delle sanzioni economiche e politiche contro il regime con la carota del sostegno finanziario e tecnologico allo sviluppo dell’industria energetica iraniana. Niente è in grado di garantire che Teheran accoglierà la richiesta internazionale di rendere trasparenti tutte le sue attività nucleari, ma l’intervento russo può essere determinante per stemperare le tensioni crescenti che minacciano l’intero Medio Oriente.

(Pubblicato in origine su The Guardian)