Nell’escalation che sta terremotando i rapporti politici e istituzionali sarebbe un errore pensare a una crescita lineare e conseguente. La sentenza della Corte Costituzionale ha, al di là delle valutazioni di merito, segnato una discontinuità.

Il bilancio dei suoi effetti mette nel conto il fatto che ha rappresentato una sorta di siluro anche contro Giorgio Napolitano in quanto ha colpito il ruolo di mediazione e di persuasione che il Quirinale era andato costruendo rendendo più agibili la vita politica e i rapporti istituzionali. Al di là della veridicità delle ricostruzioni dei retroscena del lodo Alfano in sostanza una conseguenza del deliberato della Consulta è stato l’azzeramento della Coabitazione tra Quirinale e Palazzo Chigi.



Si è infatti sottovalutato il modo sfrontato e sempre più insolente con cui un leader dell’opposizione come Antonio Di Pietro aveva apostrofato nelle settimane precedenti il Capo dello Stato. Non si trattava – purtroppo – di folclore eccessivo e isolato. Era una sorta di protesta verso quella che era ritenuta una posizione di cedimento e di compromissione verso il “regime” di Berlusconi. Un vero e proprio richiamo all’ordine.



Non si sospettava l’ampiezza di un forte dissenso che premeva, non tanto dalle aule parlamentari, nei confronti della Coabitazione che si era instaurata tra Quirinale e Palazzo Chigi. Berlusconi, ammaccato dai ripetuti attacchi anche interni al suo partito, aveva dovuto subire di fatto un ridimensionamento istituzionale accettando la sovrintendenza presidenziale.

La Coabitazione non era certo un successo per il presidente del Consiglio, ma questa “censura” che lo limitava è stata considerata invece una implicita “legittimazione” proprio perché lo stesso Capo dello Stato, uomo non certo della maggioranza governativa, si adoperava ad “abbassare i toni”. Questo “abbassamento dei toni” è apparso una sorta di disarmo se non tradimento. La sentenza della Corte rimettendo in moto l’assalto giudiziario ha stabilito che la tensione è destinata a crescere a dismisura e che il rovesciamento di Berlusconi non è una questione parlamentare.



Accantonata definitivamente la via elettorale, si cerca “la scossa”, il “big bang”. Si pensa quindi di mettere sotto assedio Berlusconi, il suo partito e la sua maggioranza, facendogli il vuoto intorno senza alcuna mediazione e sfumatura al fine di disegnare uno stato di emergenza nazionale per colpi di scena extraparlamentari.

 

L’attacco a Napolitano, alla sua ricerca di “abbassare i toni” per cercare vie concordate il più possibile per uscire in primo luogo dalla crisi economica, ha un suo sconcertante riscontro nell’attacco quasi contemporaneo mosso da Eugenio Scalfari e Marco Travaglio al “Corriere della Sera” di Ferruccio De Bortoli. Anche in questo caso il direttore di via Solferino viene insultato perché non sufficientemente “schierato” e bellicoso contro il capo del governo.

 

In sostanza non si accettano “poteri neutri” e si pretende che sia le massime istituzioni di garanzia istituzionale sia il terzo e il quarto potere debbano “scendere in campo”, essere chiamati alle armi e gettati nella mischia. Da Di Pietro a Scalfari l’intimazione è univoca e perentoria: non “poteri neutri”, ma “pesi massimi”.

 

È ora da chiedersi se tale intimazione sia davvero con le spalle talmente larghe da mettere in riga Quirinale e Corriere della sera. Molto dipenderà anche dal congresso del Pd e cioè se vi sarà un segnale al fine di riportare lo scontro politico nelle sedi politiche oppure se si apriranno varchi ulteriori alla tracimazione della lotta di opposizione attraverso vie e sedi improprie.

 

La reazione di Berlusconi sarà conseguente. Egli non è in grado di trascinare l’intero partito e l’intera maggioranza in un percorso di guerra a meno che non emerga che, appunto, in Italia non esistono più “poteri neutri”, ma solo “pesi massimi”. È dagli anni Trenta che il Nemico del Popolo è sempre: a) ridicolo, b) corrotto, c) fascista. Così, messi insieme a Mussolini, ci son passati tutti da De Gasperi a Craxi. Il problema dei vari “successori”, da Fini a Tremonti, è capire se in Italia questo cliché è solo un caso personale di Berlusconi oppure è destinato a perpetuarsi ancora e quindi a colpire anche loro nel giro di pochi mesi se dovessero assumere una leadership non di “unità nazionale” a braccetto con Di Pietro e Scalfari.